Strano gruppo, i miei americani. Ammettono di essere tutti nuovi, soprattutto inesperti di al khalil. Quindi non sanno bene che fare, e poi siamo ad una buona mezz’ora a piedi dal centro, o a tre shekel di taxi collettivo. Giovedì c’è prima una riunione online, poi una ragazza, quella che era malata, chiede di accompagnarla al campo di al Fawwar, dovrebbe essere una cosa a un centro per i giovani dove è già stata. Sarebbe per l’una, giusto in tempo dopo il meeting.
Non conosco i campi profughi intorno a Khalil, è un’ottima occasione. Su e giù per le colline, non capisco se prende scorciatoie o se aggira i check point, certo non segue una strada principale.
Il campo è completamente chiuso da sbarramenti, ma non dopo il 7 ottobre, da almeno due anni prima, quindi il service ci lascia fuori paese. E pare che quasi ogni giorno tra l’una e le tre di notte, subiscono una incursione dell’esercito di occupazione, questi vandalizzano qualche casa e ogni tanto procedono a un arresto.

Noi però siamo all’orario sbagliato, l’amica che dovevamo incontrare è ancora a al Khalil, arriverà per le quattro. Invece incontriamo uno, pure lui già incontrato che vuole aiuto per arrivare in scena su un teatro. Ha studiato per regista e sembra un attore per le espressioni della sua faccia.
Il campo ha una strada principale e poi un dedalo di viuzze che si arrampicano sulla collina. Anche qui evidentemente prima erano nelle tende e poi tutti hanno costruito come e dove hanno potuto, poi ancora hanno attaccato luce e acqua in qualche modo. È così al campo di Nour Shams, dove sono stato due anni fa alle prime incursioni e ai primi ammazzati, sarà così anche negli altri campi, dove ora l’esercito abbatte palazzi con la dinamite e con le ruspe apre una rete di strade per i loro mezzi d’assalto.


Torniamo all’aspirante regista teatrale: all’inizio pensavo che raccontava cose preparate per il suo centro giovanile, invece aveva delle bozze molto interessanti da sviluppare per teatri americani. La mia collega afferma di avere una cara amica nel teatro, almeno si sono ripromessi un nuovo incontro per mettere a punto meglio queste bozze che sembrano molto promettenti ed emozionanti, nonché molto significative per la liberazione della Palestina.
Il venerdì avremmo dovuto andare a una manifestazione a Dahirya, villaggio a sud ovest di Khalil, però viene disdetta alla sera prima, perché ci sono già stati troppi arresti tra i giovani.
Allora un venerdì casalingo? Non ci sto. Chiedo, senza però insistere, se qualcuno vuole venire con me: vado a Yatta a cercare i miei amici pastori, anche se è venerdì e ci sono ben pochi viaggiatori.
Nella città deserta passa comunque un taxi collettivo, alla stazione un service per Yatta c’è, dopo un po’ siamo quattro anziché sette, concordiamo un prezzo maggiorato (15 nis anziché 10) e partiamo. A Yatta c’è pure il taxi collettivo per Carmel, ma anche i privati che tentano di convincermi a fare più in fretta, ma niente da fare con me.
Arrivo da Jamal, avevo telefonato, i ragazzi mi corrono incontro, la prima richiesta è sempre quella di fermarmi a dormire.


Invece Jamal propone un boccone (pane appena sfornato, l’ultima volta il forno era a riposo perché c’erano vari scatoloni con chiocce e/o pulcini, oggi ci sono solo dei conigli a terra), e poi andiamo a Sussya.
Da Sussya sono scappati, mentre Yussef, fratello maggiore è sempre là. Non si può più andare là in macchina, neanche con il vecchio pick-up: non si può attraversare la strada israeliana, ci sono solchi scavati dovunque, anche per i service c’è una sola entrata tollerata. Così lasciamo il pickup lontano e andiamo a piedi, Jamal io e I cinque figli presenti. Yussef è in giro, le due mogli: “Abu Sara benvenuto”, ma la collina di fronte ha tre Outpost nuovi. C’è poi il quadrato recintato dove Jamal ha piantato ulivetti, non c’è più niente. Mi fanno vedere video con coloni spesso lì, mi chiedono di restare a dormire lì così se vengono posso riprendere io….. Per fortuna i ragazzi insistono che mi vogliono a casa loro, così torniamo indietro.

Ma Amer, il fratello maggiore, quello che portava la colazione a me e Jamal quando pascolavamo le pecore a Sussya? Lavora nel ’48. Ma non avevano chiuso tutto? Entrano dai tunnel, sono clandestini, almeno non si deve pagare il governo con le enormi tasse che mette, ma se li beccano gli sparano pensando ai terroristi. Oppure lasciano fare perché hanno un disperato bisogno di forza lavoro?
Le pecore danno problemi, ci sono tanti agnelli e qualche gravidanza difficile. Padre e figlio sono sempre là. Poi bisogna togliere un po’ di latte a qualche pecora e separare gli agnelli dalle madri e finalmente esco a pascolare con Ahmad e Ismail. Oggi è la loro domenica, per cui c’è riso e pollo a pranzo e zucchine ripiene di riso e involtini di foglie di vite (raccolte stamattina) con dentro riso. A pranzo il piatto comune va prima agli uomini, poi i nostri avanzi alle donne….. Almeno la sera siamo tutti insieme!