Messico 2024

3 Maggio

Siamo arrivati in Messico, paese sotto occupazione da oltre 500 anni. Ora il CNI, consiglio nazionale dei popoli indigeni, cerca di collegare tutti i gruppi che ancora esistono e resistono. Resistono alla modernità capitalista, alla terra agricola trasformata in capannoni industriali, le “maquilladoras”, e orribili villaggi residenziali per i nuovi schiavi. Siamo sulla rotta dei migranti da sud a nord, che spesso si fermano qui.

Eppure, cento anni fa, quando cominciava l’occupazione sionista della Palestina, qui Pancho Villa ed Emiliano Zapata costruivano una rivoluzione che voleva difendersi dagli Yankee (gli Stati Uniti stavano man mano togliendo enormi pezzi del Messico), e voleva appoggiarsi sui popoli indigeni. La loro rivoluzione è diventata istituzionale, e i governi anche progressisti dipendono dal capitalismo americano. 

Siamo in un villaggio, dov’è cresciuta la nostra amica, con case di mattoni e strade in pietra. Le costruzioni antiche sono chiese barocche, ma le signore fanno a gara a chi prepara sul fuoco i migliori tacos e le salse che li accompagnano. Tutte vendono i loro ottimi prodotti, evidentemente non esiste il controllo HACCP.

Divertente anche la confusione in aeroporto: pochissimi cartelli con i voli e gli orari, i “gates” chiamati ora “puerta” ora “sala”, ma quando a via di pasticci non ti fanno salire su un volo anche se mancano ancora 20 minuti, spostano noi e anche le valigie che arrivano da Palermo sul  volo successivo, molto gentili e senza costi aggiuntivi.

Claudio e Luisa

6 maggio

Guardandosi in giro, pare che l’immaginario collettivo risenta molto della sofferenza patita con la conquista subita.

Se racconti Guadalajara tutti dicono: a ovest del fiume i conquistadores, a est i popoli originari. Ma la città è stata rifondata 4 volte all’inizio del 1500, perché davano fuoco alle capanne degli indigeni e poi bruciava tutto.

500 anni dopo ancora i ricchi sono a ovest e i poveri a est, ma il fiume, inquinato, è coperto. Pure il mercato è coperto, su vari piani, dall’artigianato agli alimentari ai gioielli. La cosa che intriga di più è la quantità di posti dove si mangia e la varietà dei cibi offerti. Frutti strani e canna da zucchero a pezzetti da masticare o in bevanda con cannuccia dentro un sacchetto. Di colpo un fuggi fuggi: c’è fuoco, un principio d’incendio dovuto a qualche filo elettrico un po’ troppo volante….

L’immaginario collettivo va sempre alla conquista, alla schiavitù, alla guerra d’indipendenza, alla rivoluzione….. Almeno questo è quello che dice l’arte dei murales, ma probabilmente l’arte è una espressione della comunità. 

Siamo al museo  Cabañas, nato come orfanatrofio nel 1880, poi usato per altro, ma tutta l’area della cappella è stata decorata con murales intriganti, attualizzata con richiami alla guerra di Spagna e all’invasione della Polonia (si dipinge nel 1939). I murales danno immagini diverse a seconda da dove guardi.

Anche noi giriamo a trovare locali strani dove mangiare e bere: il mais è la base dell’alimentazione e agavi diverse danno le bevande. Con l’impasto per i tacos (massa) si fa una specie di panino ripieno con pollo fagioli e altro. Si beve un fermentato di mais, ma poi anche un “pulque”,  ottenuto da un agave che fermenta poco. L’alimentazione non ha niente di spagnolo, nemmeno la religione cristiana è riuscita a soppiantare la cultura precedente. Quello che sopravvive è una mescolanza religiosa.

Ripenso a quando ero negli USA: là hanno completamente cancellato i popoli originari, forse negli ultimi anni torna un po’ il folklore dei pellerossa, ma assolutamente non è presente nell’immaginario collettivo. Hanno eliminato completamente i popoli originari, senza che questo possa ritornare nella coscienza.

7 maggio

Nella guerra di indipendenza dalla Spagna, i creoli (sangue misto, non spagnoli puri) furono obbligati a schierarsi con gli indigeni. Ma la razza pura (e bianca)fu sconfitta. Come gli spagnoli anche la religione pura, fu sconfitta. A Tlaquepaque incontriamo un festival delle maschere. Le maschere sono sempre un po’ diaboliche e ci raccontano che devono uccidere il santo: formula ambigua per esprimere la lotta contro la religione cristiana e pare anche contro lo stereotipo sessuale corrente (rivendicazioni LGBTQ), ci sono donne vestite da uomini e uomini vestiti da donne.

Fa molto caldo, mi accorgo che a mezzogiorno l’ombra è solo sotto di me, siamo molto più a sud! 

Tlaquepaque è un comune attaccato a Guadalajara, ma ha conservato molte più tradizioni. Veniamo a fare il “desayuno” (colazione), come tanti altri messicani che fanno questa uscita del sabato. Nel patio dove siamo noi ci sono alcuni posti di cottura, che presentano cibi diversi: proviamo cose nuove, pezzetti di tortilla con salse varie, uova sbattute con funghi, trippa in brodo, lingua in salsa verde…. Da un altro lato trovi da bere, spremuta e caffè, o thè, o succhi vari.

Veniamo all’isola della rivolta, Mezcala, nel lago di Chapala. Ci andiamo per strade di campagna, incontrando haciende di narcos che lucrano sulla tequila. Pare che siano percorsi pericolosi di notte, perché capitano scontri tra bande. I terreni vengono bruciati, poi si mettono le agavi piccoline, che in sette anni arrivano ad essere pronte, a via di concimi e diserbanti. Completamente diverse dal Pulque, un agave tradizionale, il bisnonno qui era un coltivatore di pulque. Dopo le agavi il terreno è sterile, si brucia un altro bosco e avanti. Perché questa opera è in mano ai narcos? I terreni sono ancora gestiti dalla collettività, che però te li toglie se tratti male la terra. Certo i narcos non si sentono obblighi verso la collettività. I boschi sono alberi spinosi e caduchi, ma le foglie cadono nella stagione secca, che è la primavera, ora quindi i boschi sono spogli.

A Mezcala, nel 1810, qualche amministratore locale deve essersi accorto che la popolazione indigena era troppo autonoma…. 180 anni prima dell’insurgencia zapatista. Penso che bisognava obbligarli a pagare le tasse al re, hanno terreni fertili, hanno pesce dal lago…   Attaccati dagli spagnoli, si sono ritirati sull’isola, hanno costruito difese in pietre, hanno lavorato sulla sopravvivenza, utilizzando le risorse dell’isola. Quattro anni di assedio, il prete era passato con i locali, gli insegnava la polvere da sparo. Allora hanno costruito la chiesa: i muri in pietra lavica avevano per collante una miscela di calce e ficodindia. Tiravano sassi contro 2.000 assalitori spagnoli, che si erano costruiti navi per continuare l’assalto, con cannoni montati. Beh dopo quattro anni ci fu la trattativa: gli indigeni conservavano le terre in autonomia, il capo della rivolta diventava sindaco del paese e sarebbero stati esentati anche dal pagamento dovuto per la messa. Interessante che non hanno preso parte alla rivoluzione di cento anni dopo, perché erano riusciti a mantenersi le loro terre, avevano già vinto la loro rivoluzione.

Trattativa dopo quattro anni, per non chiamarla sconfitta, chissà come finirà la trattativa per Gaza.

9 Maggio

Il lago così bello è molto inquinato, ricordano che 50 anni fa ci si bagnava. Poi il livello dell’acqua cala, la speranza che la pioggia di giugno recuperi qualcosa è scarsa.

Avremmo dovuto partecipare a un tour dell’orrore, a seguire gli scarichi inquinanti nel rio San Juan, ma non si è potuto combinare. Certo quando rientriamo a Juanacatlan, al passaggio sul ponte, ci colpisce una zaffata di puzza, si sente l’organico ma il sottofondo chimico è molto peggio. Il vantaggio è che, con l’acqua inquinata, ci sono si tante zanzare, non c’è più una rana che mangi le larve, ma non ci sono quelle cattive, che hanno bisogno di acqua pulita!

Le fabbriche si impiantano qui dopo il trattato Nafta del ’94, libero scambio tra Canada, USA e Messico. Quindi si fanno le fabbriche dove la manodopera costa meno e le leggi anti-inquinamento fanno ridere. Ora poi arrivano i cinesi, che trovano un dazio del 35% sui loro prodotti importati negli USA, mentre se vengono a produrre qui, hanno aggirato l’ostacolo.

Ci saranno elezioni il due giugno, sia ammistrative che nazionali. La novità sono le quote rosa obbligatorie, sembra proprio che ci sarà una presidente donna! Ma non ci sono grandi speranze di cambiamenti, tutti asserviti agli yankee.

Arriviamo a Città del Messico, enorme e confusa. Andando verso lo Zocalo, troviamo la strada bloccata per una manifestazione, stanno impiantando un gran numero di tende: l’acqua! Quella buona va alle industrie, quella inquinata rimane al popolo! Poco più in là un altro assembramento, Fronte di Lotta per il socialismo, chiedono libertà per i compas in galera. 

Continuando anche Luisa si è arruolata per la rivoluzione.

13 Maggio

Quattro giorni a Città del Messico e ora siamo a Tuxtla Gutiérrez, con 40 gradi.

A CDMX (è la sigla che riassume Città del Messico) siamo stati in un albergo in un quartiere chiamato Roma Norte, quartiere residenziale con tanti posti dove si mangia e si vive di notte (sui locali c’è scritto che sono aperti fino alle quattro del mattino).

Abbiamo fatto i turisti tranquilli, girando i posti più famosi, dalla piazza dello Zócalo alla cattedrale, dal museo antropologico a quello di Frida Kahlo, dai mercati di Coyoacán al museo Ahuakalli, e per finire il castello con museo storico nel bosco di Chapultepeq. I nomi di tutti i posti sono proprio impronunciabili, memoria delle popolazioni originarie di qui. 

Abbiamo iniziato a girare con l’applicazione Uber, taxi privati con cui ci si muove benissimo e a costi accettabilissimi. Venerdì pensavamo che il traffico sarebbe stato ancora peggio, invece c’era un blocco del traffico per inquinamento. Non so se è quello o se è l’altezza, siamo a 2200 metri sul livello del mare, comunque non c’è una zanzara. 

A 40 gradi è proprio dura muoversi. Anche se è domenica, in centro troviamo mercato e un sistema di mobilità con pulmino “colectivo”, percorrono certe zone e si fermano a richiesta. Anche la cattedrale era piena per la messa, abbiamo atteso la fine per entrare, “non vi preoccupate, alle due c’è un’altra messa” si sono preoccupati di farci sapere.

15 Maggio

Eccoci arrivati a San Cristóbal de las Casas. La domenica sera, sempre con i “colectivo”, abbiamo raggiunto il parco della marimba. Tantissima gente, la temperatura appena un po’ calata, un gruppo di ben 11 musicisti. La marimba è uno strumento a percussione su cui suonano in due, e sul palco ci sono due marimba, accompagnati da tromba, basso e sassofoni. Una folla di ballerini, tutti con le facce lucide di sudore. Vecchi, gente di mezz’età, ma anche giovani e giovanissimi.

Al mattino andiamo alla stazione degli autobus, ci sono scritti gli orari, ma non si parte a orario! Come in Palestina, si parte quando il pulmino è pieno, anzi, quando non ci sta più uno spillo! Una superstrada nuovissima porta a San Cristóbal de las Casas, dove di colpo ricadiamo nel traffico, ma siamo saliti di 1.500 metri sul livello del mare, si sta molto meglio. 

A parte il traffico all’arrivo, sembra tutto più umano e colorato, le case sono basse e colorate, tutto è più vicino ai popoli originari. Così il mercato, chi vende è gente dei paesi vicini, le donne con le gonne in lana di pecore nere. C’è sia un mercato di frutta e alimentari che un mercato dell’artigianato.

Siamo alloggiati presso una comunità di appoggio alle popolazioni locali. Ci saranno una ventina di giovani, ci risentiamo più giovani anche noi. Primo giorno, c’è un’assemblea sull’opposizione al carcere, un ragazzo danese molto preparato e un uomo di qua che racconta le esperienze nei Caracol per superare il carcere, e la tragedia del 30% di detenuti in Messico per aver rubato per fame. Io racconto di Mahmour e delle loro meravigliose innovazioni, dove tutti svolgono servizio di polizia urbana per due anni, a turno, dove nessuno ruba per fame, e la violenza contro le donne, molto spesso interna alla famiglia, viene risolta in assemblea.

16 Maggio

Una gallina sul “colectivo”?

Ci muoviamo per andare a San Juan di Chamula, si cammina per qualche “quadra” (è l’unità di misura delle distanze in tutta l’America latina) e credo di essere arrivato al limite nord di San Cristobal. Ma quando il “colectivo” sembra pieno e si muove, invece no, si continua a fermare per fare salire altri, tra cui una signora che appoggia con delicatezza una scatola di cartone che contiene una gallina, dicevo si muove attraverso uno zig zag di strade scassate, e ci mette un bel po’ prima di immettersi su una strada principale, che prendiamo verso nord-ovest, per una decina di km di aspre salite e discese.

Gallina a bordo, mi è già successo in Mozambico, la gente si sposta con tutto, o in Nicaragua, con galline legate sul tetto dell’autobus, ma oggi la gallina va dalla città al villaggio!

La chiesa di San Juan è tra le più antiche, il paese viene da una tradizione di benessere agricolo, ma per qualche ragione la chiesa è diventata il luogo della mescolanza religiosa: entriamo, a pagamento, con divieto di fotografare, pena multe da 4.000 pesos, ci sono centinaia di candele accese.

Almeno 15 santi diversi, disposti lungo la navata, ognuno con i suoi ornamenti, ma poi ci sono dei gruppi familiari a terra, che si accendono ognuno un gran numero di candele, un’aria di povertà con problemi. Pregano, cantano, a un certo punto si tira fuori la gallina e  gli si tira il collo. Il suo sbattere le ali toglie il male, così i rutti dopo aver bevuto coca cola svuotano le proprie colpe profonde.

Il pavimento è coperto di aghi di pino verdi, man mano qualcuno gira a grattare cera e aghi sporchi. Il fumo ha annerito i tendaggi che pendono dal tetto, l’aria è sgradevole….. Ci sentiamo fuori posto.

Invece i Caracol Zapatisti sono chiusi, paura dell’esercito e dei narcos. Da qui si lavora con altre comunità indigene. Un gruppo con il nostro amico Rodrigo sono andati sulla costa del Pacifico per una festa dei semi, con scambio di sementi autoctone tra le varie comunità.

Ieri, anniversario della Nakba, c’è stata una iniziativa anche qui. Un video storico con interviste, un dottore di qui che era a Gaza a dicembre con MSF, molto bravo, con racconti raccapriccianti, poi io con un video e qualche spiegazione.

18 Maggio

300  milioni di anni, sarebbe l’età di questo canyon, il cañón Sumidero, un po’ il simbolo dello stato del Chiapas. Una parete a strapiombo di quasi 1000 metri, da dove si sarebbero gettati i Maya che non volevano cadere prigionieri dei conquistadores. La diga che ha formato il lago risale al 1980, come la riserva dello zingaro. Qui invece il “parque natural” è successivo, ma copre un’area enorme con tante varietà di piante e di animali. Ci sono molti turisti, anche messicani, ma la gita è veramente meritevole, e per noi economica. Prima ci portano ai “miradores”, i belvedere, con un percorso di una ventina di km nel parco. Saliamo a 1.250 mt sul mare, 900 e tanti sopra il lago. La vista è incredibile, la varietà di alberi pure; il bosco ha anche delle zone di alberi sempreverdi, rifugio per gli animali, e quelli caduchi annunciano già la stagione piovosa, perché è pieno di foglie tenere. Mi stupiscono dei parassiti che sembrano piante grasse sulle biforcazioni di certi alberi, che portano alla morte degli alberi stessi.

Dopo un lungo percorso, ci portano alla diga, con centrale idroelettrica, da cui si parte con delle imbarcazioni. Il lago è lungo 42 km, con la parte centrale nella gola del cañón. Per quanto anche qui l’acqua non è eccezionale, la quantità di uccelli indica che i pesci ci sono. Dei pellicani, che vediamo, si sarebbero spostati qui dal golfo del Messico. Poi i coccodrilli, immobili perché convinti che non li vediamo, molto simili a tronchi, e le scimmiette, divertite dalla presenza degli umani, ne incontriamo una famigliola intera.

L’autista del pulmino, che viene a  prenderci a Chiapa de Corzo, all’altro estremo del lago, non chiacchiera molto, quello della barca invece dà tutte le spiegazioni possibili. 

Da San Cristóbal, nelle montagne fresche, siamo riscesi nel gran caldo della zona di Tuxtla, per una lunga giornata faticosa.

23 Maggio

Formiche, quante formiche sulla schiena! Questo grido arriva ancora prima che Luisa senta le pizzicate. Stiamo uscendo dal parco archeologico di Palenque, percorrendo un sentiero che ci ha indicato la nostra guida, e che riporta 1,5 km a valle dell’entrata, attraversando un pezzo di giungla selvaggia. Non c’è nessuno, per fortuna una guida portava una coppia su di qua, incrociandoci proprio nel momento in cui Luisa, seduta appoggiata a un tronco, veniva assalita dalle formiche.

A San Cristóbal siamo stati alcuni giorni tranquilli, i mercati, le amicizie, i negozi legati ai compas Zapatisti. Qualche acquisto, una serata in pizzeria con Rodrigo, qualche intervento in cucina. I ragazzi ci hanno chiesto di fare il pane (anche se trovo solo lievito istantaneo) e una mangiata di carbonara. 

Dibattito sull’acqua in Chiapas: ce n’è tanta, ma inquinata anche qui. Pare che viene immessa in tubazioni vecchie e marce senza neanche filtri a monte. Per cui quella del rubinetto non si usa neanche per lavarsi i denti.

Abbiamo deciso di fare i giovanotti e di andare al parco archeologico di Palenque, usando i mezzi collettivi, come fanno tutti i messicani e i viaggiatori disposti all’avventura. Con noi solo messicani in movimento tra i paesi. Da San Cristóbal il primo colectivo è per Ocosingo,  come sempre parte quando è strapieno. Sale ancora, arriviamo a 2.500 mt di altezza, prima di precipitare nel caldo di Ocosingo, a 450 mt sul mare. Percorriamo sempre foresta, ci sono molto i cedri. Intorno alle case c’è sempre un pezzo coltivato a mais, anche in mezzo vai sassi e sui bordi della strada, e constatiamo che c’è mais piantato da poco e altrove mais già pronto. Vicino alle case c’è sempre anche qualche banano. È una strada tutta curve, fino a una specie di stazione di cambio. Per fortuna il colectivo per Palenque tarda a riempirsi, e io ho tempo per sgranchire le gambe. Ora però cominciano le fermate e qualcuno scende. Anche noi scendiamo a Aqua Azul, insieme a una famiglia del posto. Un taxi ci carica tutti e ci porta a vedere un gioco di cascate. Si vede che è un posto da tanti turisti, con noi però ce n’è pochi. Fa caldo, mangiamo qualcosa (empanadas), prima di risalire sulla carretera, con un caldo infernale, aspettando un colectivo. Infatti scendono due e possiamo salire noi, continuando per Palenque, ormai cotti. Breve ricerca su booking e ci facciamo portare a un hotel fatto a capanne nella foresta, gradevole e pieno di uccelli che cantano.

Di buon ora siamo al parco archeologico. È veramente impressionante, la quantità di piramidi e tante ancora sono nella selva. Abbiamo visto per strada quanti terreni vengono bruciati per coltivare mais, credo che sia ragionevole per controllare un po’ le erbacce. 

Palenque sarebbe finito per questo, esaurimento delle risorse, era una città di 150.000 abitanti, e l’ecosistema era stato alterato. Avevano una religione abbastanza violenta, fatta di sacrifici umani. Anche il gioco della pelota era un rituale religioso, dove chi riusciva a mandare la pelota attraverso l’anello, aveva l’onore di essere sacrificato.

L’albero sacro era il Ceiba, albero con tante spine e con i rami messi a croce, l’albero femmina, quello maschio solo con la chioma in alto. Troviamo poi degli avocado selvatici e sempre mango enormi, oltre a mandorle stranissime.

25 Maggio

Un’iguana giovane ci attraversa la strada, porterà bene? Speriamo di sì. 

Siamo alla fine del nostro periodo, dico che se non capita una buona occasione, torniamo a San Cristóbal e basta. Invece a Palenque ci indicano subito un colectivo che va a Roberto Barrios, dove tutti dicono che ci sono cascate bellissime. È che Roberto Barrios è anche un villaggio e il luogo di un Caracol. Così eccoci in viaggio: ma poco dopo il bivio troviamo la clinica autonoma del Caracol, e l’annuncio della junta de bien gobierno. Quando parli sembra sempre che tutti sostengono le zone autonome. Lungo la strada, c’è molto allevamento di bestiame, fanno recinti con paletti che poi diventano alberi.

Le cascate sono impressionanti, almeno quattro diverse, con salti notevoli. Il caldo è appiccicoso, siamo a duecento metri sul mare, dentro una selva quasi equatoriale. La maglietta si può strizzare da quanto è bagnata. Mi spoglio e mi butto, due ragazzi australiani mi seguono subito, non ci sono mulinelli, l’acqua è meravigliosa, fresca come ne abbiamo bisogno, Luisa fa solo il pediluvio….

Ripenso a Palenque: ci avevano assalito le guide, io sono guida riconosciuta, io sono guida libera, io, io, io… Ma noi siamo italiani, dice Luisa, allora lui che parla italiano, ci indicano; parte da 2.000 pesos, finisce a 600, accettiamo. Allora lo prendono in giro, il “Pato”, la papera, è vero cammina un po’ male (va bene per Luisa) e chiacchera molto, e questo va benissimo: ci racconta un sacco di cose, è nato in una capanna a 100 metri da qui con suo padre che faceva il custode. Ci racconta della storia Maya, ma anche delle piante, mi suggerisce tutte le piramidi su cui si può salire, ma lui non sale, resta giù a raccontare a Luisa.

Dopo le cascate il ritorno è interminabile. Dobbiamo tornare a Palenque, da lì a Ocosingo. Sulla strada ci sono venditori con scaffali di Coca Cola e di fianco scaffali con bidoncini di un altro liquido. Che sarà? Dopo un po’: “si vende gasolina”, ecco spiegato l’arcano, ci stava anche la vicinanza tra i due prodotti! Non esiste rifornimento per più di cento km di strade impervie, dove il mezzo più usato è il motocarro Piaggio, adibito anche a taxi. A Ocosingo nuovo mezzo, ma appena usciamo dalla città, incappiamo in un blocco stradale, che minacciano di fare durare lungo. L’autista propone un giro alternativo, un’ora in più e 30 pesos in più.

Ci ha portato attraverso una valle scoscesa, panorami bellissimi, ma purtroppo veniva buio, addirittura maiali per strada nei paesi attraversati.  

E a San Cristobal andiamo finalmente alla “università della terra”. Più vecchia della insurgencia zapatista, è nata nel ’89; con il nome di università, insegna invece tutte le arti manuali, con cui hanno costruito anche tutte le loro strutture, ma pure musica, pittura, telaio e tessuti. Ci vengono ragazzi e ragazze dai Caracol, ma anche dalle comunità e qualcuno fin dal Guatemala. C’è l’auditorium usato per le assemblee zapatiste, c’è la stamperia litografica, beninteso c’è anche l’orto, con cui si mangia lì. Nella sala dove ci accolgono, troviamo una bandiera Palestinese e una Curda.