Palestina novembre 2022

10 novembre 2022

Sono tornato in Palestina, dopo 10 anni di assenza. Non avrei mai pensato che fosse così srmplice: si appoggia il passaporto su un lettore (come quelli dei biglietti all’entrata degli aeroporti), un attimo, poi lo schermo ti dice di ritirare il passaporto, e subito ti esce come fosse una ricevuta il “permit” valido 90 giorni con scritto nome cognome nazionalità e num del passaporto. Per ora sono con Luisa e siamo più turisti e pellegrini, con cui durante i giri in bus ho il microfono e racconto di Palestina a partire dalle mie esperienze, così gente un po’ ignara sta imparando molte cose e lo fanno tutti con molto interesse. Oggi sulla spianata delle moschee era molto emozionante, nonostante un piccolo gruppetto di ebrei ben scortati da soldati. Man mano ho raccontato del Golan occupato per accaparrarsi l’acqua, la valle del Giordano prosciugata per cacciare le aziende palestinesi, le strade per solo ebrei e l’invasione di autostrada fatta nel 2012, e oggi Shuafat, Silwan e Sheikh Jerrah. Domenica saremo a Ramallah, e io resterò con Neta per passare a ISM.  Abu Sara

11 novembre. Khan al Akhmar, la scuola di gomme

Oggi pare un posto tranquillo, niente a che vedere con due anni fa quando l’esercito era tra le case e le ruspe si preparavano a abbattere il villaggio intero. Il villaggio: circa 200 persone di cui 85 bambini, ma le pecore sono molte di più…, e questa scuola, frequentata da 250 bambini. Per arrivarci si lascia il muro, poi dopo pochi km si lascia il bus e ci si avventura a piedi, ripassando sotto la strada israeliana.

Avevano capito che una scuola di cemento sarebbe stata demolita, già gli avevano sequestrato i pannelli solari donati dall’UE, con la scusa che non erano autorizzati. Figurarsi ora una scuola in muratura! E allora è venuta questa idea, già utilizzata in sudamerica. Raccolgono un mucchio di gomme, le impostano bene e poi le coprono di calce, i tetti sono con pannelli coibentati, insomma sembrano dei bei locali, solo che oggi è venerdì e i ragazzi anziché a scuola sono fuori con le pecore, a pascolare sui sassi. Eppure due giorni fa è venuto giù un bel temporale, gli wadi si sono riempiti di fango, addirittura la strada per Gerico era interrotta per allagamento. Questo significa che spunterà l’erba e ci sarà pascolo.

Le vallate desertiche che scendono verso Gerico sono impressionanti, in pochi km lasciamo i 750 metri di Betlemme per arrivare ai 400 metri sotto il livello del mare di Gerico. Li in mezzo a queste valli assurde c’è un monastero ortodosso, nel Wadi Qeit, infilato tra le rocce, e fornito di una piccola sorgente, sufficiente per loro di S.Giorgio anche se non ha niente a che vedere con quella di Ain al Auja, la principale risorsa di acqua di Gerico che gli israeliani hanno già ampiamente sottratto.

Abu Sara

12 novembre Tenda delle nazioni e At-twani

In viaggio verso sud: la route 60 è cambiata completamente, è una superstrada non ancora completata che sta venendo fuori con muri incredibili e svincoli per soli israeliani. Cosa hanno in mente? Per ora almeno in certi tratti ho visto macchine e camion con targa Palestinesi, ma solo nella parte ancora di vecchia strada. Si vedono i lavori in corso intorno a ar-roub e a Hal Hul. Quando sarà finita  taglieranno anche la direttrice nord sud obbligando i palestinesi a lunghe deviazioni? Così teme Dawood che incontriamo alla Tenda delle Nazioni. È una grande azienda agricola sull’ultima collina libera nella zona: tutte le altre sono state occupate da colonie che sembrano prigioni anche a chi le vede per la prima volta. La strada per arrivare alla Tenda delle Nazioni è sbarrata dai soliti pietroni, intorno munnezza e munnezza che brucia. Dawood dice che è la reazione degli sconfitti che si piangono addosso. Invece la sua famiglia resiste, da 32 anni. Avevano titoli di proprietà ottomani, inglesi e giordani. Israele prima li ha riconosciuti poi ha cominciato a pretendere una costosa mappatura nuova, col GPS, non le mappe del 1930! E ora continuano a fare di tutto per mandarli via. Si difendono cercando l’autonomia, non hanno acqua né corrente, si coltiva di tutto si fanno campi con internazionali. Da quando li fa non ha più avuto attacchi dai coloni, ma gli stanno costruendo una scuola religiosa vicinissimo, teme che sarà un covo di estremisti, e teme che la strada nuova lo taglierà fuori dai contatti con Betlemme.

Continuiamo per At-twani, lasciando sulla destra Beit Ummar, al-halil e Yatta. Ecco le colonie sulle colline, ecco Ma’on e subito sotto At-twani. Anche qui quante novità: la scuola è nuovissima e realizzata dall’Onu, anche la moschea è nuova, dureranno? con questi coloni intorno? I racconti degli ultimi pestaggi sono terribili, c’è quello che i coloni hanno assalito sul suo campo rompendogli le braccia e poi i soldati hanno arrestato lui. C’è quello di qualche mese prima, che per difendere un generatore dalla confisca è stato raggiunto da un proiettile nella schiena: ora è paralizzato e senza gambe. Quello che non è colonia lo dichiarano zona militare, insomma vogliono mandarli via, ma anche qui si resiste, anche le donne qui non solo ci preparano il pranzo, ma raccontano di essere riuscite a organizzarsi, parlarsi e fare un po’ di artigianato da vendere, oggi è sabato e troviamo anche qualche israeliano che collabora con loro.

Abu Sara

14 novembre  Ramallah ha ancora il centro caotico che ricordavo, ma c’è tutta una zona di palazzoni nuovi che ne fanno una città moderna. Neta racconta di un cambio nella politica di governo e banche, ora i prestiti sono facilissimi mentre le macchine usate non le fanno entrare. Così macchine nuove e palazzi nuovi, ma tutti pieni di debiti. Torniamo ai “service” i bussini che corrono su e giù su itinerari stabiliti e a prezzi fissi, senza orario, si parte quando è pieno. Così viaggiamo sulle strade palestinesi, parallele a quelle per i coloni che vediamo aldilà dei loro muri. Qui si incontrano i cartelli messi dal governo per dividere: “attenzione, questa strada porta a villaggi palestinesi, pericolo per i cittadini israeliani”, o anche “vietato ai cittadini israeliani”

Arrivo così ad al-khalil, e salgo alla collina di tel rumeida. Nel check point con i doppi tornelli trovo un soldato assonnato che non chiede niente. Salgo alla casa di Youth Against Settlements, ma non c’è nessuno, Issa manda a dire che tra poco arriva qualcuno, poi che ci sarà un pranzo alle 12.30. Intanto mi guardo intorno per capire quali sono le case che conoscevo: é così che sento un soldatone arrabiato mettere il colpo in canna: se metti un piede di qua ti arrestiamo, c’è un limite invalicabile proprio fuori del cancello di YAS, “hai capito?” si si “cosa fai?” aspetto degli amici qui. “In quella casa? Lì c’è solo propaganda”. Decido di andare al mercato, ho ancora da portare un po’ di soldi a Women in Hebron. Così un the, dopo tanti anni, è un po’ di chiacchere. Viene l’ora di risalire, ripassando il check point ci sono due soldati e chiedono solo di mostrare passaporto e visto. Alla casa si sta preparando una makluba, anche se non vale quella di Karam. Alla fine arriva un grosso gruppo di persone: sono ebrei inglesi, di cui qualcuno vive in Israele, qualcuno invece è tornato in UK. Prima che arrivi Issa introduce un ragazzo di Breaking the silence, cioè soldati “pentiti” che raccontano cosa hanno fatto e come hanno preso coscienza della violenza dell’occupazione. Poi si mangia, io ne aggancio uno in particolare con cui parlo dell’errore di trasformare la religione in uno stato, e mi dà molto ragione, pensando all’impostazione distorta dei coloni. Finalmente arriva Issa, che si scatena, sulla violenza fatta ai bambini che può solo portare a odio e altra violenza. Ma cosa possiamo fare per cambiare? Issa propone che ognuno può inventarsi modi per aumentare il costo dell’occupazione, solo così vinceremo

Abu Sara

15 novembre Alla casa di Youth against settelments il pomeriggio si accende il fuoco, in un mezzo fusto all’aperto, con la potatura di un po’ di alberi intorno. Non scalda niente ma forse psicologicamente serve a sentire meno l’aria fresca. Ed è un via vai di ragazzi, qualcuno mi ricorda, discutono, si raccontano, chi studia chi ha già famiglia, un bel centro di incontro, altro che la brutta propaganda inventata dal sodataccio. La sera poi rimane Issa con tre persone che non conosco (anche una donna senza velo), ma sono discussioni di politica che non posso seguire. Comunque c’è in mezzo la successione di Abbas e la leadership contesa tra il gruppo BDS e il gruppo legato a Samidoun, le stesse discussioni seguite anche con Neta l’altro giorno.

Oggi mi hanno proposto di andare a raccogliere olive, c’è una famiglia che non ha ancora finito, è dalla mamma di un ragazzo che era qui ieri. Mi metto a cercare sulla collina, ricordo che ci sono ulivi palestinesi anche in cima alla collina aldilà delle case dei coloni. Ma non è lì. Mi raggiunge una ragazza spagnola: vedrai un uomo alto all’angolo della strada, le hanno detto. Così ci presentiamo, sono solo due alberoni nel giardino. Prima il caffè e del pane caldo con olio, zaatar e sesamo. Poi per fortuna si trova qualche telone che mettiamo in qualche modo, ci aiutano la mamma e il figlio minore che studia ancora. Il giovane lo mando sull’albero, ci sono olive altissime, gli altri siamo intorno all’albero con qualche sedia per arrivare più in alto. Uno scroscio di pioggia ci permette di fare la pausa the. Ma che rabbia questi alberi incasinati, mai puliti dal vecchiume. Arrivano un seghetto e una forbice, si presenta anche papà, se mi metto non finirei mai. Tagliamo almeno i rami che sporgono dal vicino, che si lamenta e che non possiamo arrivare a raccogliere. Se glieli pulisco io sono sempre contenti, ma da soli non lo fanno. In qualche modo finiamo per pranzo così posso procedere con il mio progetto, tornare ad At-twani dove mi aspettano a dare il cambio a una ragazza che è risalita a Ramallah.

Fatta una bella doccia dopo la faticata, anche se ho dovuto aspettare che riempissero il serbatoio dell’acqua.

Ora sono tornato At-twani, con i mezzi: con il mio poco arabo facciamo grandi risate. Intanto a al-khalil c’è una nuova stazione per i mezzi, quindi devo chiedere, credo che a parte indicarmi dove era il mezzo per yatta, deve avermi detto: facciamo venti kg per 20 cm? Era piccolo e largo! E giù a ridere tutti. Arriviamo a yatta, io ricordo che c’è il service per Karmel, a 30 minuti a piedi da At-twani, ma si sta facendo tardi quindi cercherei un taxi, ma non ne vedo, mentre sta partendo il service per Karmel. Allora rido io: c’è una parola araba per dire tutto quello che c’è da buttare “Zbale”, e ricordo su questa strada un autista dire che era molto dispiaciuto di non potere evitare i buchi: sharie Zbale! Strada da buttare, allora glielo racconto (la strada ora è un po’ meglio) ma anche il suo mezzo è da buttare: portiere con pezzi che cadono, partenza a spinta in discesa ecc. E giù tutti a ridere! Ora sono arrivato alla casa dove eravamo anche sabato e ci avviamo per la nostra posizione tra i coloni e la zona militare. Guai in vista  c’è l’esercito un poco più su, io mi fermo alla tenda dove tira un’aria incredibile  non posso rischiare subito. Una ragazza danese appena conosciuta che parla arabo molto più di me, va su con una jeep e altri quattro, vedremo le notizie e foto o filmati.

Abu Sara

16 novembre. Sono a Khallet al dabaa, uno dei piccoli villaggi che vogliono cancellare dalla faccia della terra per fare i loro giochi militari, come se non avessero ancora preso abbastanza terra. Qui poi siamo sulla cima di una collina, il primo posto che vogliono prendere. Gli ordini di demolizione risalgono a settembre, ogni giorno può succedere.

L’allarme di ieri sera è rientrato: i militari avevano fatto un blocco stradale con terra

e sassi, ma quando se ne sono andati il blocco è stato rimosso. Quando i miei compagni sono rientrati ci hanno portato i pani larghi “taboun” e 4 ciotole: cetrioli, yogurt, hummus e salsa di pomodoro. Temevo che dormivamo nella “tenda” invece abbiamo una bella stanza un po’ più coibentata e con tante coperte.

Qui la corrente viene da 4 pannelli solari, mentre l’acqua arriva da At-twani con un tubo che gli hanno già strappato dalla terra varie volte. Su tutta la collina sono stati piantati ulivi, prima li coltivavano solo nei fondo valle che sono meno pietrosi e si possono coltivare. C’è qualche trattore in giro più che altro per i trasporti, per arare e seminare orzo è appena passato un asino con aratro, un ragazzino teneva l’aratro sollevato e il padre portava il sacco con la semenza.

Visto che di giorno non succede niente, ho deciso di provare a cercare i pastori da cui andavo quando ero qui. Una bella camminata su e giù per le colline, cercando di stare a distanza dall’avamposto di Avigail, si è allargato ma è ancora un avamposto, cioè una colonia abusiva anche per il loro governo e quindi ci sono dentro i più estremisti e cattivi perché non hanno ancora le recinzioni intorno a proteggerli. Passo da al-mufaqarah dove ero stato una notte in cui facevano la soletta della moschea, una cost uxione realizzata al buio con picchetti di controllo sulle strade per far arrivare tutto il materiale senza farselo sequestrare. Beh è una visione triste, ne rimangono solo macerie.

Quando credo di essere in zona, ma oggi a piedi vengo da un lato diverso di come facevo, comincio a chiedere di Jamal e Sanaa. Ma perché li cerchi, sono miei amici. Mi viene l’idea di mostrare foto di allora e così convinco: là a quegli alberi! Ma quando arrivo e mi sembra proprio l’accampamento dei ragazzi cadono dalle nuvole, mi portano il the, ma non c’è nessun Jamal. Poi chiamano un vecchio a cui pure mostro le foto e dice che si sono trasferiti a Yatta.

Torno facendo il giro di Avigail dall’altra parte, è molto più corto. Ora nella tenda comune, c’è il caffè, dei bambini disegnano, dei grandi chiacchierano, si chiede notizie agli altri villaggi anche ora giravano jeep con i lampeggianti.

Abu Sara

17 novembre Nelle mie camminate mi rendo conto di quanti posti vengono migliorati con soldi di organizzazioni internazionali, spesso proprio fondi EU o ONU. Anche solo qui dove c’è la nostra base è con soldi internazionali che una famiglia fornisce i pasti agli internazionali presenti, qui che ci sono i pannelli solari. Intorno almeno due scuole nuove con annesso campo di calcetto, molti insediamenti con tende nuove e pannelli solari. Ma quando queste cose vengono distrutte, non ci sono reazioni, come non c’è nessuna pressione sul governo israeliano per cambiare qualche progetto, sembra che si limitano a buttare soldi per tenersi la coscienza pulita.

Ho deciso di tornare a Sussya, qualcosa di ieri non mi lascia convinto. La metto così, ieri era un giro di esplorazione. Non sbaglio strada sulle colline, è bello vedere che la grande pioggia di settimana scorsa ha permesso di arare molto più in profondità la gran parte dei terreni disponibili tirando fuori pietre che di solito non uscivano. Quando devo attraversare la route 60, mi accorgo che devo salire 200 mt più su. Sufficienti perché si fermi un fuoristrada, ma è un colono che va alla loro colonia chiamata pure quella Sussya, due chiacchere e nessun problema, cambia un po’ il mio itinerario.

Trovo le cognate di Jamal, Yussef ha due mogli, intente a sgusciare mandorle, una col sasso come anche i bambini, l’altra con i denti! Mi guardano e mi riconoscono. È vero che Jamal è Sanaa sono a Yatta, ma almeno abbiamo il numero di telefono e, potenza della tecnologia, comincio a condividere foto di 10 anni fa che non avevo mai potuto mostrare loro. Mi fanno mangiare di nuovo e tanto the, arrivano i ragazzi da scuola, i grandi mi ricordano, ma ce n’è un paio nuovi, ora sono14, e anche Jamal è arrivato a 6. Le bambine maggiori dei due fratelli sono sposate e con due piccoli ognuna. Jamal è nonno a 40 anni. Lavora nelle costruzioni, e manda a dire di trattenermi e darmi da mangiare. Finalmente arriva con tutta la famiglia, Sanaa ha preparato una Makluba con il pollo e una salsa densa “luhia” fatta con la malva. I figli grandi, quelli con cui ho giocato così tanto, sono tenerissimi, purtroppo le bambine devono tenere le distanze, mentre il ragazzo che ora ha 14 anni si attacca tenerissimo. Il grande che pascolava le pecore o portava la colazione a me e Jamal, fuori con le pecore, è insieme al cugino a lavorare nel “48”, che è come viene chiamato Israele da qui. Anche loro li abbiamo sentiti in video. Jamal ci ha caricato tutti e portato a vedere casa sua: casa nuova ma con le pecore e le galline a piano terra, e loro al primo piano! Quando mi accompagna verso At-twani c’è una sgradevole sorpresa: una manifestazione di coloni per chiedere la demolizione di un fabbricato in costruzione ad At-twani destinato a frantoio e altro. Non vogliono far vivere i Palestinesi e si che c’erano anche donne e bambini. In più qualche ronda di coloni sulle strade intorno.

Sono tornato alla mia postazione di khalet ad-darabaa.

Abu Sara.          La foto è una strada bloccata

19 novembre Giornata festiva, tutti i bambini sono in giro per il villaggio. Invece i trattori sono tutti in strada, tutti tirando grossi carri, qualcuno pieno di sacchi, come se spostasse viveri per animali da un posto all’altro, la maggior parte vuoti. Dopo un po’ cominciano a tornare indietro, carichi di foglie scartate dal frantoio, sicuramente foraggio per le pecore. Dopo i primi due che tornano carichi gli altri tornano vuoti, scarti finiti e viaggio a vuoto? Avevo visto anche ieri a Sussya un mucchio di foglie di ulivo e, a una certa ora, donne e bambine erano andate con i secchi a caricare, facendo ben attenzione, credo, a non prendere niente di ammuffito, per portarlo alle pecore!

Per il resto, qualche colono in giro con moto da cross, si vede che vorrebbero farsi piste per loro senza villaggi tra i piedi. Io trovo un passaggio e raggiungo Jamal e la sua famiglia nella nuova casa di Yatta. All’alba escono le pecore c’è davanti un campo incolto con solo qualche spina. Ma le pecore se non mangiano camminando, non fanno latte. E così i bambini più piccoli hanno questo incarico (oggi ci siamo anche Jamal e io), mentre le ragazze puliscono raccogliendo lo sterco che, essiccato al sole, servirà per cuocere il pane nel  “tannur”, intanto la mamma fa il pane. Tutti hanno il loro incarico mattutino, poi la colazione con il pane caldo. La casa è stata costruita con i soldi della banca, avrà debiti per tutta la vita, ma intanto è bella. Anche tutti i vicini hanno animali….

Prendo il “service” e scendo a al-khalil. Strada bloccata già in alto 300 mt prima di bab al zahwye: si prepara la visita dei coloni alla città vecchia. Soldati dappertutto, transenne a non finire, condite con qualche bomba sonora ogni tanto, chissà che non si capisca che fanno quello che vogliono. Sembra di essere al circo, quando gli inservienti preparano il percorso per le bestie feroci. Solo che qui gli inservienti hanno il mitra in mano e spesso il dito sul grilletto.

Ma che fanno in giro di sabato? Non dovrebbero essere fermi a pregare? Evviva la libera interpretazione delle scritture sacre.

Si parla di migliaia di pellegrini diretti al cimitero ebraico che è nella zona Palestinese.

  19 novembre            Al-khalil con i coloni

Pian piano ho ricostruito tutto, non era un sabato normale ma la festa di Sara (moglie di Abramo). Qui esce una delle provocazioni più stupide: hanno “scoperto” il sasso dove Abramo e Sara si sono seduti a riposare!  Guarda caso è nella parte a controllo Palestinese, così è l’occasione per una invasione in grande stile. Una buona ora di preparativi, con questi soldati che transennavano prima in un posto, poi si spostavano, insomma un gran daffare. Alla fine è tutto pronto, la novità di quest’anno è che queste transenne (sono i pannelli da recinzione alti quasi 2 metri), vengono anche coperte con reti o teloni, non dobbiamo neanche vederli! Cominciano i caroselli di jeep e soldati che controllano il percorso, tutti i negozi vengono obbligati a chiudere. Noi siamo divisi in vari posti per seguire le cose e informare gli altri, alcuni sono in case Palestinesi che si affacciano su Shuada Street, la strada che è stata vietata. Sono loro che informano sul formarsi della folla e sulla partenza delle ronde. Altri siamo nel mercato, la strada parallela a quella che faranno, ma con un dedalo di viuzze comunicanti. Finalmente hanno l’OK, si apre il cancello che da Shuada Street dà sul mercato. Ed ecco l’orda inneggiante che si riversa nel percorso obbligato, diretti al famoso sasso.

Con tutti i soldati che ci sono, lasciano scoperta una via laterale, i ragazzi se ne accorgono ed ecco partire un lancio, pochi sassi, non c’è ne sono qui, molto più frutta e verdura. È un bersagliamento, fino a che non arrivano i soldati con le bombe sonore e allora i codardi vengono avanti, ben scortati, per rispondere al tiro. Sembra che tutto si calma, finalmente sembra che i coloni defluiscono, ma non è vero. Dopo essere riusciti si riforma un grosso gruppo con i più cattivi, entrano e cominciano a sbattere le transenne, c’è un correre di soldati a precederli per fermarli e rimandarli indietro, ma ci vuole tempo. Poi tocca ai soldati uscire e sganciarsi, ma come ho visto sempre diventa un tira e molla tra lanci di sassi e lancio di bombe assordanti. In una delle risalite i soldati si avvicinano alla gente, chiaramente chi tira sassi è scappato, quindi prendono uno che non scappava e lo pestano in sei o sette, poi si fermano ad aspettare, tengono la posizione con le solite bombe, dovranno venire con due jeep a prelevarli. Dall’altra parte vedo i soldati arrivare con un ragazzo, poi con due bambini. Per fortuna eravamo con giornalisti e cineoperatori, sono corsi in là con anche un faro per le riprese, e i soldati li hanno riaccompagnati indietro.

Non si erano mai visti coloni così arrabbiati, chi era nelle case ha temuto di vedere i coloni assalirli. Ci sono comunque 12 feriti di cui 9 in ospedale per attacchi dei coloni e 4 o 5 arresti, si vedono gli effetti del nuovo governo.

Abu Sara

 20 novembre                I giorni passano anche quando sono tranquilli, come domenica, qui primo giorno della settimana. Il mercato di al khalil è tornato normale, anche quelli che sono andati allo “School patrol” (ci sono due scuole nelle zone che si toccano con i coloni) dicono che era tutto tranquillo, i coloni smontano le tende e portano via i caravan. Io mi prendo il tempo di passeggiare nel suk. Ci sono quello che mi salutano come se mancassi da una settimana, e allora un caffè qui un the un po’ più avanti. C’è qualche ragazzo che mi mostra video del giorno prima, in cui c’è anche lui tra i lanciatori, e chiede di fare la foto insieme. Una assurdità sono i soldati intorno alla moschea, non chiedono la nazionalità, ma : “di che religione sei?”. Come se in base alla religione, decidono se farti passare o no, ma appena cominci a fare discussioni si confondono. Decido di andare dal barbiere, è lo stesso vecchietto che dorme sdraiato sulle sedie per l’attesa, ma quando lo sveglio, si frega gli occhi, poi “ma sei già venuto qui”. La sera aspetto Islam, il nostro contatto di al khalil, che deve rientrare da Gerico. L’ultima volta eravamo insieme ad un incontro ad Amman. Due belle ore di confronto.

Stamattina ho deciso di lasciare il sud, andrei a Ramallah, ma facendo il giro da Gerusalemme. Voglio cercare la famiglia di Sheik Jerrah che frequentavo. Mi danno il contatto di una ragazza di Gerusalemme che ha seguito le lotte dell’ultimo anno, ma o non ci capiamo o abbiamo degli approci diversi. Comunque trovo la strada e la casa dove avevamo la tenda e dove è iniziata la lotta. Si tratta di case costruite dalla Giordania per affidarle a famiglie Palestinesi sfollate da Haifa nel ’48. Ora i coloni pretendono di avere scoperto che una associazione sionista era proprietaria dell’area. Quindi i Palestinesi non hanno diritto alle case, e il primo problema lo ha avuto Nabil, che aveva allargato la casa. Il pezzo nuovo non va demolito, è di proprietà dei coloni “da sempre”. 10 anni fa Nabil era un uomo combattivo, ora lo trovo in casa in pigiama, con una tristezza addosso che però sparisce quando mi vede. Comunque per ora siamo in stallo, l’offerta israeliana è di lasciare lì gran parte delle famiglie, ma in affitto anziché proprietari. Si aspetta un’altra sentenza della Corte. I gemelli, figli di Nabil, con cui siamo stati ore a parlare, ora sono Mohammed giornalista in America e Moona sta finendo cinema ad Amman.

Per continuare per Ramallah ora c’è un autobus urbano, il 218, che passa lì vicino. E attraversa il check point di Qalandia! All’uscita senza problemi all’entrata non lo so.

A Ramallah avevo in mente di trovarmi con i Tamimi, e così eccomi tornato a Nabi Saleh. Tre lavorano e una studia, ma tutti a Ramallah. Così si esce, con lunghissimi giri, dal caos di Ramallah. Passeggiata a Nabi Saleh, uno dei paesi più combattivi, dove rivendicano una sorgente con laghetto e i terreni coltivabili contigui, sequestrati a vantaggio della colonia di Halamish. Da qualche anno hanno smesso le manifestazioni del venerdì, troppi ragazzi uccisi dai soldati, ma anche ora, venti giorni fa, in un piccolo scontro hanno ucciso un’altro ragazzo. Faccio la passeggiata con il ragazzo che pure lui lavora in città, quanti ricordi, quanti lacrimogeni, quanti soldati ho visto correre inseguendo invano i ragazzi. “vedi le bandiere?” prima c’è n’era una sola, sono venuti a rubare quella e delle pecore li abbiamo mandati via a sassate, lasciando il maltolto, poi sono intervenuti i soldati che hanno chiesto la trattativa per potersi ritirare in pace, accordo respinto, se ne sono andati bombardati da sassi. Ora bandiere in cima alla collina c’è n’è quattro. Viene anche il fratello, che è il padre di Ahed, la ragazza che si è fatta 8 mesi di prigione per una sberla data a un soldato quando gli stavano invadendo la casa.

Abu Sara

 21 novembre                  Oggi sono a Ramallah, dove abbiamo l’unico appartamento in affitto, 10 anni fa ne avevamo 3. Ci fanno sapere che c’è un rally per i prigionieri. Alex e io andiamo. Madri, mogli, fratelli, figli di prigionieri politici, cartelli con le varie facce, anche le donne prigioniere. Molto contro la detenzione amministrativa, che è il sistema ereditato dal colonialismo inglese per detenere chi gli pare, senza accusa né processo, per periodi di sei mesi, rinnovabili. È scatenata e trascina tutti negli slogan una donna anziana. Un’altra ha la foto di una detenuta per sua sfortuna ben nota. Ha le mani e la faccia sfigurate per l’esplosione di una bombola che trasportava in macchina. Per gli israeliani preparava un attentato, risultato, ha avuto poche cure ed è ancora in prigione.

Poi arrivano notizie che a Nablus i coloni si preparano per veglie di preghiera alla tomba di Giuseppe. Si teme che succedano casini. Cominciamo a valutare se salire a Nablus, ma arriva Neta e mescoliamo due discussioni: ieri c’è stata alla Knesset, una conferenza urgente su come intervenire contro le organizzazioni “per i diritti umani” che invece sono terroristi finanziati da Hamas. Noi siamo in questa lista. Il nuovo governo deve mostrare i muscoli, mostrando fatti e non chiacchiere come quello precedente. Abbiamo già avuto una perquisizione con distruzione di quello che trovavano ad un precedente cambio di governo. Decidiamo di smobilitare l’appartamento. Io ho solo depositato il mio zaino e oggi ho fatto la doccia, mentre chi ha più problemi è la ragazza palestinese che vive lì da 5 anni e non ha dove spostare le sue cose. Due vanno a Nablus, dopo avere caricato i bagagli, io li raggiungerò domani. L’ultima scende a sud. Più tardi ci sentiremo e valuteremo tutto.

Abu Sara

 22 novembre            Burin e Nablus

Burin è un paese agricolo a pochi km da Nablus, in un bella vallata che però è sovrastata da ben cinque insediamenti coloniali. Vado a trovare Ghassan, con cui abbiamo raccolto olive anni fa. Chiedo com’è andata quest’anno: bene per le olive, ma quanti assalti di coloni, anche sua mamma è stata ferita. Oggi lo seguo un po’ nei suoi lavori, si è dedicato a serre per ortaggi coltivati in bio che vende nelle frazioni intorno, distribuendo nei negozietti di frutta e verdura. Oggi deve supervisionare la realizzazione di una serra per un suo amico, ma poi aspetta uno scavatote a casa per rifare la fossa biologica che non tiene più. Caffè per tutti, ma dopo poco bisogna andare a prendere nafta al deposito dello scavatorista; questo è ancora più in alto, ancora più vicino alle colonie. Racconta quanti frequenti sono gli attacchi dei coloni.

Vedo anche una autostrada nuova a metà collina, ma beninteso è fatta solo per i coloni.

Veniamo alle notizie di oggi: i due attentati di Gerusalemme sono nei notiziari, da molto non succedeva, è un brutto colpo alla loro sicurezza, potrebbe servire a fare andare via qualcuno in più, come diceva anche il parroco di Nazareth, per paura più che per insoddisfazione.

Ma nessuno parla che i nostri timori di ieri si sono avverati e a Nablus c’è stato un raid dell’esercito che è entrato in città sparando e uccidendo un ragazzo di 16 anni. Oggi ci sono stati i funerali (i musulmani vanno seppelliti entro 24 ore), molto emozionante, ma i ragazzi che sono con me erano vicini agli uomini armati e mascherati, una scarica di fucileria per salutare il martire, è stata paurosa e assordante.

Ancora meno si racconta di una scuola demolita a Masafer Yatta, dove ero qualche giorno fa, dove andranno a scuola ora i ragazzi? Secondo le leggi internazionali l’occupante deve garantire l’istruzione nelle zone occupate! Li invece è l’ONU a realizzare le scuole e l’esercito di occupazione a demolirle.

C’è un’altra notizia: a seguito di un incidente stradale tra israeliani, un ferito viene portato all’ospedale di Jenin, pare in fin di vita, il più vicino. Ma uomini armati hanno rapito il cadavere. Si rischiano nuove incursioni, come è probabile che anche a Burin ci siano calate di coloni per vendicarsi delle bombe a Gerusalemme.

25 novembre            Giornata con continui scrosci di pioggia, ma anche giornata festiva, traffico pari a zero.

Eppure è il giorno delle manifestazioni; Neta mi ha messo in contatto con una sua amica israeliana, insomma cambio programma, avevo pensato di andare a Kafr Qaddum, paese tristemente famoso per le manifestazioni settimanali che risalgono all’inizio del 2011, quando l’esercito di occupazione ha deciso di impedire ai residenti la strada più corta per andare a Nablus, in quanto passa vicina alla loro colonia illegale, e questo nonostante una sentenza della Corte favorevole ai Palestinesi. I soldati salgono in assetto da guerra ancor prima che parta la manifestazione, e sparano, lacrimogeni, pallottole rivestite di gomma e pallottole vere. Con sempre feriti e intossicati.

Ma torniamo a oggi: l’appuntamento è per le 10.30 alla rotonda di Zaatara. Io salgo da Ramallah con i mezzi pubblici, ce n’è pochi di venerdì ma è sempre uguale, appena il pulmino è pieno si parte, è pur sempre la strada per Nablus. Ma dico che devo scendere alla rotonda Zaatara: ma sei sicuro? Se mi fermo alla rotonda quelli sparano, siamo all’entrata di una colonia, ed è ben guardata da soldati in tutti gli angoli,

Sono in anticipo, quasi quasi do retta ai palestinesi. Telefono all’amica che invece conferma di essere già lì, allora scendo in fretta un po’ prima della rotonda, il pulmino riparte con tutti che mi fanno gli auguri. Sta piovendo mi metto sotto la pensilina della fermata bus. Poco più sopra ci sono soldati, non ho nessuna voglia di spiegare cosa sono li a fare. Per fortuna l’amica è comprensiva, esce dal parcheggio e mi viene a prendere. Appena sono con loro, cambia tutto, usciamo i cartelli: “l’occupazione uccide”, e i soldati passeggiano intorno tranquilli! Pian piano diventiamo una ventina, con anche cartelli grandi. Tutta gente di una certa età, ma dicono che il loro gruppo è abbastanza nuovo, si chiamano: “guardando l’occupazione negli occhi”. I giovani o non fanno niente o ci dicono che siamo moderati. Un uomo colloquievole mi si presenta subito: sono un convertito, per 13 mesi ho fatto la scuola rabbinica, prima di capire che era solo lavaggio del cervello. Di più non ho carpito perché era sempre occupato a discutere con qualcuno. Se passavano macchine con palestinesi facevano il segno di vittoria, gli israeliani invece alzavano il medio. Ma mai una parola dei soldati! Fossi stato con palestinesi immagino le cariche! Dopo un po’, ricomincia a piovere e raccogliamo i cartelli. Due macchine continuiamo per Beita. Paese poco più a nord, si è visto comparire un avamposto su una collina libera. Casini, manifestazioni, battaglie, in un anno sono già stati ammazzati 5 ragazzi. Comunque i coloni sono stati allontanati ma i caravan non sono stati rimossi, ma la zona è stata presa dai soldati, non fanno avvicinare i coloni, ma quelli gentilmente, invece i palestinesi a cui appartiene la terra vengono accolti, quando va bene come oggi, solo con un po’ di lacrimogeni, altre volte pallottole di tutti tipi. Pioggia, fango, era un po’ un pasticcio, ma c’è anche una tenda, con dentro il solito mezzo fusto con il fuoco, e sul fuoco il caffè per tutti.

Ma da lì si riparte, scendiamo a Sheik Jerrah dova alle tre parte un’altra manifestazione. Stavolta un bel centinaio di israeliani con qualche palestinese che dirigeva. Pare che altre manifestazioni le fanno i palestinesi e allora non vogliono gli israeliani. Bella banda, con 7 o 8 tamburi che ritmavano gli slogan, soprattutto “no all’occupazione”. Se penso agli scrosci che abbiamo preso, direi che ho visto tre volte una bella partecipazione. Ora per fortuna mi sono fermato a Gerusalemme, c’è uno shuttle/taxi che costa poco (66nis) ma comincia prestissimo, per un volo alle 12.30 mi vengono a prendere alle 7.

Abu Sara