18 settembre 2023
Eccomi di nuovo in Palestina. Anche questa volta capita che gli israeliani hanno una delle loro feste, così mentre credevo di avere evitato lo shabbat, sono caduto nel capodanno! Di nuovo niente treno, niente bus, niente ricarica telefonica. Per fortuna c’è un taxi collettivo che parte quando completa il suo carico di passeggeri. In cambio, siccome è festa, c’è poco traffico. A bab al amud (la porta di Damasco) funziona tutto regolarmente. Si vede un ambiente tranquillo. Ma non è così dentro la città vecchia. Proprio perché è festa i coloni a centinaia sfilano nei cortili della moschea al-aqsa, protetti da ingenti schieramenti di soldati. Ed è come reazione alle invasioni della moschea che manifestano a Gaza lungo la frontiera. Fanno saltare con l’esplosivo dei cancelli o bruciano copertoni per nascondersi e avvicinarsi, in cambio i soldati sparano anche sui giornalisti. La moschea sta diventando l’istanza fondamentale nelle rivendicazioni. A noi occidentali sembra che Hamas e la Jihad sono dei fondamentalisti religiosi, ma appunto, difendere l’integrità della moschea, diventa un tema unificante e su cui si può aggregare non solo i palestinesi ma tutto il mondo arabo. E non dimentichiamo che il cartello della resistenza comprende anche il PFLP, non certo accusabile di fondamentalismo religioso.
Sempre siccome è festa non ci sono gli autobus per Ramallah. Faccio una bella scoperta: una ragazza con il suo doppio velo regolare, è al volante di uno di questi enormi bus di linea! Comunque, no non si può andare a Ramallah, sempre perché non pensano che un ajnabi (straniero) può fare come i palestinesi, cioè arrivare a Qalandia, caricarsi le proprie cose e fare il percorso di passerelle sopraelevate e tornelli, e poi mettersi a cercare un “service” che vada a Ramallah. Ma così ho fatto e per fortuna senza nessun controllo.
Andando a sud dovunque ci sono posti di guardia con soldati armati, check point protetti da soldati in gran numero, altri per ora non in uso, comunque un’impressione di controllo capillare.
Ma trovo la strada verso sud con percorso nuovo, era in costruzione, almeno in parte. Così non passa dalle entrate del campo al-Aroub né da quella di Beit Ummar. Così mi spiego come mai ci sono stati degli attacchi incendiari ai posti di guardia: la strada nuova ha isolato i paesi palestinesi, ma così ha isolato anche i posti di blocco e le torri di guardia, che ora diventano più vulnerabili.
A Al-khalil una bella sorpresa: di solito incontro soldati in abbondanza, lacrimogeni compresi, invece oggi, in fondo al mercato, in un’area solitamente chiusa, c’era il terzo festival di Hebron, con musica, bancarelle con i prodotti tipici, cioè uva, miele e mosto cotto, oltre a signore varie con le loro conserve.
Dei barbieri facevano barba e capelli gratis.

Una cucina ha preparato ogni giorno un cibo tradizionale. E la gente passeggiava, assaggiava, comprava, come in una fiera di paese. Proprio non sembrava di essere a al-Khalil.
Abu Sara
20 settembre 2023
Andando verso sud c’è il solito service per Yatta, è primo pomeriggio, è pieno di gente venuta a Khalil che ora torna a casa. “dai ragazzi, stringetevi lì dietro, che ci state in quattro”, ma io non sono proprio un ragazzo! Vicino a me due ragazzi allegri, in mano hanno bottiglietta di succo d’arancia e caramelle gommose. “Dai prendi anche te”. “Com’è bella la Palestina”, di nuovo, “com’è bella la Palestina”, stiamo uscendo da Khalil tra colline e dirupi, con ulivi e mandorleti, ha proprio ragione, penso, finalmente delle serre nel fondovalle, “ecco, vedi, siamo due fratelli, quello è il nostro lavoro, certo c’è molto lavoro, ma si guadagna”. Nelle serre oltre a ortaggi fanno mango e avocado! Quindi nel mercato a Khalil c’è roba palestinese e non israeliana!
Quando ci avviciniamo ad attraversare la route 60, si rallenta, ecco i soldati che ci sono sempre, oggi fermano e controllano. Così si riparte per le colline, con una deviazione che ci farà evitare il check point. A Yatta il service per Karmel è quasi pronto a partire, “ma tu vai At-twani”, lo capiscono, ma tanto poi vado a piedi, nessuno fa altre offerte strane. A piedi incontro ancora un check point, arrivando all’incrocio, ma a uno che cammina non chiedono niente.
At-twani vuol dire school patrol, andando a prendere i bambini che arrivano al mattino da Tuba, scortati dall’esercito, e accompagnandoli per lo stesso percorso all’uscita. Qualcosa deve essere cambiato, perché i soldati camminano con i bambini e uno solo porta la jeep. O è successo qualcosa o comunque sono tornati a fare quello che avrebbero dovuto fare sempre.
Si resiste: cominciano le confische delle macchine per scuse banali? allora si stanno attrezzando con gli asini, sono almeno 6 o 7, c’è un concerto notturno… Minacciano di demolire le case? ci prepariamo le grotte. A khalet ad dabaa trovo una grande grotta scavata, quasi sotto il nostro locale, che quindi è provvisoriamente inagibile. Sulle colline intorno c’è sempre qualche movimento sospetto, così chiedono quando vedranno qualcun altro. Magari domani torniamo. Gli asini devono avere un secchio d’acqua al giorno, che gli vado a prendere in un pozzo a metà collina e incredibilmente ha ancora acqua. E a Khalet ad dabaa si può sempre dare una mano ad allontanare il materiale scavato.
Qui la resistenza è tranquilla, altrove si combatte. A Jenin martedì sera c’è stato un assalto in forze, con anche bombardamento aereo. Volevano procedere a due arresti; questi sono riusciti a sfuggire, ma ben quattro ragazzi sono rimasti uccisi nei combattimenti. Di un morto israeliano raccontano un incidente, dei danni ai loro mezzi, taciono. Un altro ragazzo è morto a Gerico e un altro a Gaza, insomma giornata nera, ma loro dicono che così la resistenza si rafforza.
Vedremo!
Abu Sara
23 settembre 2023
Venerdì, giorno delle manifestazioni. Proviamo ad andare tutti e cinque, quanti siamo i volontari ISM, a Kafr Qaddum. Diana, la nostra palestinese di Tulkarem, suggerisce di cercare un service per Qalqylia, che ci potrebbe lasciare al bivio di Al-Funduq. Prima c’è un taxi, che ne carica tre, il taxista è con la moglie e andrebbe a casa, cercando di guadagnare qualcosa sulla via del ritorno. Ma poi c’è un service con i suoi sette passeggeri, e niente altro per un po’. Allora penso e propongo a V. il mio compagno, perché non cambiamo e andiamo a Beita, per andarci è più facile. Così poi
copriamo due manifestazioni. Verrà fuori che il taxista e signora sono di un paesino vicino a Kafr Qaddum, li accompagneranno su, poi lui andrà a prenderli dopo la manifestazione, mentre la moglie avrà preparato la maqluba a cui li invitano. Insomma, prima la solita scarica di lacrimogeni, ma poi un ritrovo in famiglia!
Intanto V. e io troviamo subito il service per Nablus e scendiamo al bivio di Beita. Passando abbiamo visto che alla rotonda di Zaatara c’era un discreto gruppo di israeliani, quelli con i cartelli “l’occupazione uccide”, “paalestinian lives matter”e qualcuno dopo salirà a Beita. Incrociamo i soliti soldati di guardia, poi i magazzini con i muletti che corrono, poi una macchina si
ferma e chiede se andiamo “al jebel”, sulla montagna, che è dove partono le manifestazioni, e ci porta. Oggi mi pare che si raccoglie un numero notevole di persone a pregare, molto più del solito. Così ricordo che un paio di settimane fa c’è stata una invasione di Beita, i soldati che eseguivano un violento raid nella città, alla ricerca di un presunto colpevole di un attacco contro i coloni a Huwwara. E il discorso prima della preghiera è tutto incentrato sull’occupazione e la resistenza. È vero che pochi scendono incontro ai soldati, però anche solo la preghiera sul
“jebel” è un segnale di resistenza. I soldati non hanno voglia di scendere, ancora meno dell’ultima volta, fa veramente caldo. Un fuoco di copertoni, dopo avere aggirato la collina, per mandare il fumo verso i soldati, ma loro niente, sono comparsi in tenuta
anti sommossa con anche gli scudi, ma non hanno tirato neanche un lacrimogeno.
Il ritorno…. uno strano taxista probabilmente gay che fa il filo a V.
Viene qualche dubbio se dargli confidenza. Abed ci dice di diffidare dei taxisti, tra loro si nascondono tante spie. E poi il gay: non è vietato, non è una colpa, ma è un fatto che ti emargina molto. Se poi gli israeliani sono riusciti ad avere qualche foto compromettente, diventi facilmente ricattabile, e allora è ancora più facile fare la spia.
Sabato invece a Nablus, devo incontrare Wael e Ghassan. Di sabato corrono da una riunione all’altra. Si parla di una sessantina di volontari per le olive. Devo anche consegnare dei soldi raccolti in Italia per le famiglie di Duma. È il paese della famiglia Dawabshe, quelli dell’attacco incendiario da cui si è salvato solo un bambino. Un’altra famiglia ha avuto distrutto la stalla e uccise le mucche. Questi soldi servono a farli ricominciare.
Qui il peggio è a Gaza, dove i ragazzi continuano a manifestare per Gerusalemme e per la loro libertà. Bruciano copertoni, fanno scoppiare bombe lungo il recinto, lanciano palloni incendiari oltre il confine. Ma i soldati sparano, ieri c’erano una trentina di feriti civili.
Abu Sara
25 settembre 2023
Una scuola nelle colline desertiche, zone abitate da sempre da comunità beduine. Qualche bambino viene a piedi, la maggior parte con uno scuola bus enorme che non capisci come fa a girare in queste stradelle di sassi. Fatto sta che fa il giro a raccogliere i bambini e a lasciarli. La preside viene in macchina, ma la maggior parte delle maestre sono su un “service” collettivo. La zona si chiama Wadi Siq.
Ma dov’è il problema? Vogliono mandarli via, siamo a pochi km da Khan al Akhmar, in una valle parallela, sempre nel corridoio tra Gerusalemme e Gerico. Mi guardo in giro, arrivando abbiamo lasciato lungo il percorso una varietà di piccoli insediamenti beduini. “Toh, guarda, anche lì davanti c’è un villaggio”. No quello è un avamposto, ma sembra che vivono come pastori beduini.

Cosa ha inventato Smotrich, ministro dell’interno per la West Bank? Trova giovani un po’ falliti, che a scuola non hanno combinato niente, e gli dà un mucchio di soldi per venire a fare i pastori qui, liberi di ogni tanto attaccare le comunità locali. Ieri per esempio sono venuti a scuola, hanno rotto un parafango all’autobus, hanno sparato qualche colpo attraverso le finestre delle classi. Non mi spiegavo come fosse possibile che degli israeliani venissero ad abitare in queste
condizioni. E così è anche chiaro che l’unico divertimento che hanno è nuocere i beduini.
Però c’è qualche altra cosa fuori posto: la scuola è “con il contributo UE per le popolazioni a rischio di espulsione” e noi sono venuti a prenderci con un mezzo dell’Autorità Palestinese, mosso da un ufficio che, come l’UE, almeno finché dura il decrepito Abbas, collabora con il governo dell’occupazione e non fanno niente per far cambiare le scelte di quel governo.
Oggi comunque c’è una grande attività, troviamo altri tre volontari raccolti con un network di solidarietà. Poi arrivano parecchi palestinesi, compreso un pick up con materiali e si mettono a impiantare una serie di faretti a led solari, sperando che la luce tenga lontani i cattivi.
Nelle foto c’è l’avamposto incredibile e l’insediamento vero sull’altro lato, la scuola e le valli che scendono.
Abu Sara
27 settembre 2023
A casa dei martiri (shaid).
Fa caldo, è il terzo giorno di lutto. Continuano le visite, solo donne, gli uomini non ci fanno entrare. Invece “venite con me sono il fratello”, e ci porta di sopra a casa sua, anzi no prima andiamo sul tetto a vedere. Non il panorama, ma la strisciata di sangue lasciata da Abdulrahman. “Era salito a vedere, io gli dicevo vieni dentro, è pericoloso. Cade in avanti, cerco di trattenere il corpo, non ce la faccio, ho sangue sulle mani, forse mi hanno colpito. No è lui che sanguina, chiedo aiuto. Mia moglie e sua moglie vedendolo si bloccano sul tetto, non riescono a reagire. Finalmente qualcuno mi aiuta, viene chiamata l’ambulanza. Ora che arriviamo giù l’ambulanza è già lì, girano sempre durante i raid. Ma sono arrivati i soldati con le bombe sonore, cercano di impedire all’ambulanza di partire.

Finalmente riesce ad andare, ma noi restiamo barricati in casa per un’altra ora e mezzo, assediati dai soldati”. “Lavoravamo insieme, eravamo molto vicini, non so come farò, i suoi figli saranno come i miei”. Ma poi c’è il padre, “dovete raccontare a tutti come ci trattano, non c’entrava niente, colpito da un cecchino che ha fatto il tiro al bersaglio, non poteva sparare a una spalla? cercava l’occhio, è morto in ospedale!”
Sembra che l’obiettivo raggiunto sia di mettere insieme tutti, saranno sempre piu attivi contro l’occupazione.
Usciamo, c’è un altro martire. Fa molto caldo, sarà l’una, forse troviamo un taxi, ma siamo in cinque, non ci stiamo, intanto andiamo, per fortuna eravamo in alto sulla collina, il cecchino aveva sparato da un tetto più basso. Quindi scendiamo e risaliamo dopo un po’ per raggiungere la piazza centrale del campo. Che distruzione! Che macello ha combinato l’esercito
di occupazione: un palazzo sventrato, le strade sfasciate. Un angolo tra vicoli strettissimi, la seconda casa. Qui ci sono solo donne, ma accettano anche me e T. Avanti, ci asciughiamo il sudore, nella stanza in fondo ci ricevono la madre e la sorella. “Usaid aveva solo 21 anni, era come tutti i ragazzi di qui, sognava di fare lo scrittore, di fare felice la mamma, era come tutti qui, disprezzano la morte, tanto che vita è questa, in un mese
due raid”, anche al terzo giorno ci sono molti scoppi di pianto. A una cert’ora però arriva da mangiare, una signora sorridente dice che ha cucinato lei, tanti tavolini apparecchiati, tutte si fanno sotto, a parte yogurt e humus, ci sono teglie con carne trita a strisce condita in modi diversi. Ma noi cerchiamo di sbrigarci, D. deve andare e anche noi dobbiamo rientrare a Ramallah.
Cosa è successo? Verso la mezzanotte tra sabato e domenica, ingenti forze di occupazione hanno attaccato il campo profughi di Nour Shams, quasi attaccato a Tulkarem. Decine di mezzi, supportati da tre bulldozer, attrezzati di una specie di rostro posteriore, atto a penetrare le strade, rompere l’asfalto, le tubazioni dell’acqua e quelle elettriche. A Jenin si erano fatti fregare con esplosivi nascosti sotto l’asfalto, che aveva danneggiato gravemente i loro mezzi. Ora gli esplosivi glieli tirano addosso, ma ormai entrano sempre nei campi con questi rostri a distruggere quello che possono. A Nour Shams l’ultimo raid era stato solo 20 giorni prima e non avevano ancora finito di riparare i danni. Le sirene di allarme sono suonate subito, la resistenza ha combattuto per quattro ore, con sbarramenti di fuoco, esplosivi e imboscate all’esercito che ha presto avuto bisogno di rinforzi. Come sempre non si sa nulla dei danni ai mezzi e dei feriti israeliani. Qualche mezzo hanno dovuto trascinarlo fuori. Per attaccare la palazzina hanno usato razzi, apparteneva a un ragazzo ammazzato nel 2001, dicono che ci si nascondevano combattenti e che avrebbero trovato dell’esplosivo, difficile che sia vero, perché sarebbe saltato per aria tutto.
Ma dove siamo? A Tulkarem, cittadina del nord, attaccata al muro di separazione. Siamo a solo cento metri sul livello del mare, allo sbocco di alcune valli. Beninteso anche qui qualche colonia intorno. Così bassi rispetto a Nablus, fa molto più caldo ed è anche più umido. A. abita su una collina che divide due valli discendenti, però per avere un po’ di aria bisogna arrivare quasi al mattino. Dal suo tetto mi mostra i due campi profughi, uno per lato: “Nour Shams” più a est, “Tulkarem” a ovest attaccato alla città. Molti lavoratori sono transfrontalieri, ma qui gli israeliani hanno anche impiantato una decina di fabbriche. Gli operai vengono da qui, ma la dirigenza entra direttamente dall’altro lato. Prima delle visite abbiamo partecipato a una delle iniziative per i prigionieri, con tanti bambini.
La parte agricola ha parecchie serre, c’erano anche molti aranci, ma le costruzioni se le sono mangiate.
Abu Sara
28 settembre 2023
Umm Safa, a pochi km da Bir Zeit, dove c’è l’università. Quattro case su una collina, di qua e di là pendii di ulivi molto belli. Poco più in là, c’è l’insediamento di Halamish, quelli che sono di fronte a Nabi Saleh e gli hanno sottratto la sorgente più bella, quella con il laghetto. Ora un gruppo di loro si è fatto una stalla nella vallata che va verso Umm Safa, e si divertono a mandare le mucche al pascolo nei loro uliveti.
Oggi siamo stati lì, pronti a correre giù se si vedevano le mucche, una quarantina compresi vitelli e vitelloni. Eccole subito sulla stradella quasi in fondo alla valle. Scendiamo, tre ISMers, tre compagni israeliani, e il palestinese che ci aspettava. Con le vacche c’è solo un colono, mitra a tracolla, pistola in tasca. Superiamo lui e le vacche e cerchiamo di mandarle indietro, ma arriva la security dei coloni, e altri coloni, le vacche non sanno più dove andare. Poi cominciano ad arrivare i soldati, i soliti ragazzini. “Mandateli via”. “Non è il nostro compito, noi dobbiamo solo tenervi separati perché non succedano casini”. Così noi di qua, loro di là, le mucche in giro, ma non agli ulivi. Continuano ad arrivare pattuglie, ogni volta che arrivano c’è un ufficiale al di sopra del precedente. Anche per noi arrivano altri dal villaggio, i coloni sono sempre quattro ragazzoni, che vanno in difficoltà quando a uno chiedo “di dove sei?” Di Israele, non è vero, si il nonno di mio nonno era già qui! Non è proprio vero.
Arrivano anche giornalisti palestinesi. Ad ogni nuovo arrivo, chissà perché, i coloni vanno sempre a salutare. Ci saranno ormai
venti soldati, solo per quattro balordi. A via di capi sempre superiori, finalmente arriva la Polizia. Allora, perché non li mandate via? Ed ecco che scopro chi è che soffia sul fuoco, secondo lui i palestinesi non hanno documenti di proprietà, quindi chiunque può stare lì e come ci sto io, ci
stanno i coloni con le vacche. Bravi vi inventate sempre qualche novità. No la legge è uguale, dice lui, dove hanno documenti rispettiamo la proprietà. Non è neanche vero quello, perché si inventano altre cose, solo i documenti fatti dagli israeliani valgono!
Sembrerebbe che non c’è nulla da fare per mandarli via. Invece finalmente arrivano dei militari con divisa più semplice, senza i mitra, i lacrimogeni, il dito sul grilletto. C’era anche quello con la barella nello zaino! Insomma questi due potrebbero essere di quelli che chiamano DCO, difesa civile per i territori. Alle volte sono anche loro tra i cattivi, li ho visti in certe demolizioni. Ma oggi sono accomodanti, e chiedono ai coloni di andarsene, così ce ne andiamo tutti, ai palestinesi garantiscono che aggiustano loro, e sembra che funziona, senonché i coloni fanno i furbi
e li vediamo in distanza fermare le mucche e lasciarle scendere verso gli ulivi. Ancora i due devono andare a sgridarli; ma domani torneranno? e gli altri giorni?
Abu Sara
1 ottobre 2023
Cresce la violenza dell’esercito in Cisgiordania. Venerdì a Beit Dajjan si ricordavano i tre anni dall’inizio delle manifestazioni e per l’occasione c’era molta più gente del solito. Siamo in una valle dove ai palestinesi viene negato l’accesso, la colonia dovrebbe essere dietro la collina, però non arriviamo a vederla. Tra l’altro, qualche mese fa la manifestazione si faceva nella direzione opposta, come se la colonia fosse estesa in lunghezza, e anche di là c’era un punto oltre il quale la stradella non era percorribile. Così ora, non facciamo in tempo a raccoglierci tutti che partono i lanci di lacrimogeni, con l’evidente obiettivo di disperdere almeno quelli non abituati alle manifestazioni. Dopo il primo round, torniamo ad avvicinarci ai soldati, non siamo più centinaia, ma alcune decine dei più agguerriti.. Così, a via di spingere conquistiamo un pezzo di strada, mentre i soldati arretrano. Quando si stancano sparano qualche lacrimogeno, qualche ragazzo sale sulla collina e tira sassi dall’alto, ma vengono bersagliati dai lacrimogeni. Insomma finiremo con qualche ferito,
colpito male dai lacrimogeni e vari intossicati.
A Kafr Qaddum al posto dello scontro più o meno in periferia, i soldati sono venuti avanti sparando verso il paese, riempiendo tutti di lacrimogeni e con parecchi feriti da pallottole ricoperte di gomma.
Un’altra manifestazione si è tenuta vicino a Salfit, contro un nuovo outpost e qui hanno arrestato il capo del villaggio e suo fratello. In un altro posto è l’esercito che ha tagliato un centinaio di ulivi.
Fuori Ramallah poi hanno sparato ad una vettura, non è chiaro se volevano arrestare due. Beh uno ferito e uno morto, hanno arrestato anche il morto, visto che si sono portati via il corpo, come ulteriore sopruso. Fatto sta che mezzo paese di Al-Bireh è sceso subito in piazza.
Almeno quando poi scendiamo a Sheik Jerrah, siamo pochi e non succede quasi nulla, tranne a un tentativo di aprire una bandiera che viene subito fatta ritirare. Qui è successo qualche settimana fa, la polizia ha deciso di applicare la norma del nuovo governo che vieta la bandiera palestinese in pubblico, e ci sono stati tafferugli. Ora è stata inventata una bandiera con una fetta
di anguria, verde bianca e rossa su sfondo nero. Per ora questa è
legittima.
Insomma c’era abbastanza stanchezza e tensione addosso, per cui siamo andati a Yatta, in famiglia da Jamal, Sanaa e bambini, a giocare e chiacchierare. Nonostante tutto, qualche segno di speranza, dai vicini si festeggiava un parto gemellare e intanto Jamal aiutava una pecora a tirare fuori un agnellino che in dieci minuti già si tirava in piedi.
Abu Sara
4 ottobre 2023
Google apartheid:
i ragazzi di Operazione Colomba salgono a Tuba di pomeriggio. A noi hanno chiesto se li sostituiamo per ricevere i bambini di mattina , mentre loro faranno l’accompagnamento da Tuba, percorso che troppo spesso i bambini fanno da soli. Bene, tutto a posto e tutto tranquillo, compreso il messaggio: bambini in arrivo tra un attimo li vedrete. Ma poi chiamano: “Abu, non è che ci puoi venire a prendere?”, momento di confusione, “c’è la macchina degli israeliani (pare che i volontari, anche loro vengono spesso
qui, tengono una macchina qui, per le necessità locali) le chiavi sono vicino al computer ecc. ecc.” Poi chiedo della strada, quella che ho fatto io tanto anni fa non è più accessibile, devo arrivare molto più avanti, anzi, dicono facciamo che ti mando la posizione su Google Maps. Benissimo, troviamo le chiavi, troviamo la macchina, seguiamo la strada su Maps. Guido una macchina con targa gialla israeliana, su una loro strada principale! Poi giriamo verso sud, attraversando in mezzo a capannoni di allevamenti
industriali, funzionanti con acqua pompata da distanze assurde. Villaggi palestinesi circondati da posti militari e zone residenziali. Ma poi tutto si dirada e siamo quasi nel deserto, ma Google avvisa “destinazione raggiunta”. Finisce la strada usata dagli israeliani e finisce il segnale di Maps! Se non è apartheid anche questo! Per fortuna c’è qualche ragazzo in giro, “dobbiamo andare a Tuba”, “a destra lì, poi di nuovo a destra più avanti, poi vari km”. Insomma troviamo i tre e torniamo a Twani. Da Tuba
alla scuola, o si va scortati dai soldati, o si deve fare un lungo giro.
A Khalet ad dabaa, abbiamo aiutato nello scavo delle grotte. Vorrebbero che non lo raccontiamo, ma da dovunque si vedono queste terrazze di materiale di risulta!
Anche a Twani è tranquillo, non come settimana scorsa, quando i nostri colleghi hanno avuto spesso i soldati nel villaggio, e uno escavatore da fermare per non ostruire una stradella!
Così scendiamo a Khalil, dove ci sono invasioni di coloni per il Sukkot. Un giorno con battaglia in strada, volevano la sicurezza per i coloni e hanno ottenuto sassi, copertoni in fiamme e lacrimogeni. Un altro giorno con balli nella moschea, e oggi non è successo niente. Invece a Gerusalemme continuano le invasioni della spianata delle moschee.
Abu Sara
7 ottobre 2023
Risveglio difficile……
Ma appena apro il telefono per guardare cosa è successo, viene da tremare, ma anche da sperare.
Da Gaza è partita una operazione mai vista e soprattutto assolutamente inaspettata per la terribile intelligence israeliana.
Prima di raccontare un pò i fatti, in modo ben diverso dai canali mainstream, racconterò dei palestinesi visti oggi.
Festa grande a Ramallah, hanno cominciato distribuendo caramelle e bandierine a tutti, per più avanti nella mattinata avere dei caroselli di macchine festose. Chi doveva raccogliere olive ha sospeso, non si sa mai.
Le raccomandazioni sono di non muoversi, ma in tre manteniamo il programma di andare a sud. Ci dicono che verso Gerusalemme non si può andare, ma la strada per al-Khalil è percorribile. In città troviamo un gruppetto di ragazzi con un sit-in improvvisato alla rotonda dove ci sono sempre le iniziative pubbliche, con bandiere verdi (di Hamas). Noi abbiamo la bandierina avuta a Ramallah, è sul mio zaino, quindi tutti ci applaudono. Scendendo verso il centro, si comincia a sentire i botti. A Bab-al-Zawhie non si può arrivare. Da qui ci sono lanci di sassi, di là ogni tanto si affacciano i soldati e sparano, pallottole vere e lacrimogeni. Un ragazzo viene ferito, ma di più sembra che i soldati sono codardi che scappano. Appena sparato qualche colpo, non si vedono più, e così noi passiamo abbastanza tranquillamente per andare al mercato. E’ pieno di ragazzi che ci salutano e ci intervistano, registrando qualche battuta a sostegno della Palestina. Al mercato è quasi tutto chiuso, cercavamo il panino con i felafel migliore, ma è chiuso. Intanto dal fondo vengono avanti tre soldati armatissimi che ci intimano di andarcene, va bene, l’unico negozio aperto di frutta e verdura viene fatto chiudere.
Sentiamo i ragazzi di Operazione Colomba, ad at-Twani ci sono soldati in giro e check Point per non fare avvicinare. Inutile rischiare di andare, ci sono sia loro tre che alcuni israeliani, la zona è coperta.
Allora dopo i felafel, decidiamo di salire da Issa, da Youth Against Settlements. Dobbiamo fare il giro largo, a piedi c’era voluta un’ora. Uno mi chiama e si offre di portarci, ma prima volevamo un caffè, poi abbiamo preso un taxi collettivo che andava in quella direzione. Appena scendiamo dalla macchina: “Abu Sara, hanno arrestato Issa, aspettatemi un momento che andiamo alla casa insieme”. Non ci siamo mai arrivati, la zona è stata dichiarata area militare e vietatissima.

Prima ci fermano due soldati, poi chiamano rinforzi. Saranno una decina, tra cui facce da coloni arrabbiati, in tuta mimetica come i militari. “Hanno ucciso 200 dei nostri”, ma perché, voi quanti palestinesi avete massacrato? Afferrano un telefono, ci spintonano. Comunque telefono restituito, ma andatevene in fretta. Intanto il nostro amico viene ammanettato, portato via, ma sembra una cosa un pò così, senza ragione. Non è come Issa che è da sempre un loro obiettivo.
Insomma io perdo il mio telefono sulla prima macchina che ci raccoglie, purtroppo il nostro andava al funerale di suo padre, portando dei dolci che offre anche a noi, per cui non ha risposto alle prime chiamate, e non lo ho ancora recuperato.
Tornando, è a Qalandia che ci sono i resti di una grande battaglia, sempre sassi e copertoni in fiamme contro lacrimogeni e proiettili.
Ma come hanno cominciato l’assalto fuori Gaza? I primi combattenti sono usciti da Gaza con il parapendio, trascinati da piccoli motori.

Evidentemente questi hanno neutralizzato delle sentinelle, perché dopo è una ruspa che ha aperto un bel tratto di recinzione, da cui sono usciti moto e pick up carichi di combattenti. Erano così inattesi che nessuna forza si è potuta opporre ai combattenti, che hanno occupato varie delle colonie intorno a Gaza, hanno preso mezzi militari, vari tank, un mucchio di prigionieri, hanno preso la stazione di polizia di Sderot. Gli israeliani, non riuscendo a riprenderla, la hanno bombardata loro stessi. Ora, quasi le 11 di sera, si combatte ancora a Sderot, e nelle città palestinesi continuano i caroselli di macchine che sbandierano allegramente.
Netanhiahu minaccia, ma una giornata così non la immaginavano proprio. Abbiamo visto la gente nascosta in aeroporto in attesa di partire, e ci chiediamo chi glielo ha fatto fare di venire a fare i colonizzatori occupanti? Credevano che fosse una pacchia, senza essere coscienti di cosa comportasse l’occupazione, quanta sofferenza dei palestinesi era sottintesa alla loro colonizzazione.

Abu Sara
9 ottobre 2023
Sciopero generale.
Qualche contraddizione: combatte Hamas, ma lo sciopero lo chiama l’Autorità Palestinese! E ieri lo sciopero era completo, era aperta solo qualche bancarella di frutta e verdura, abbiamo fatto fatica a trovare qualcosa da mangiare. Lo sciopero era di due giorni, ma oggi funzionava solo a metà. Sempre l’A.P. chiamava a manifestazioni di piazza, ma queste erano molto più ridotte, e quasi solo con bandiere verdi di Hamas. Sapete che agli orari previsti, dalle moschee chiamano alla preghiera, ebbene ieri è stata diffusa una registrazione obbligatoria per tutti. Ufficialmente per uniformare le chiamate alla preghiera, ma evidentemente era per evitare che la chiamata diventasse chiamata alla resistenza, come si fa ad ogni assalto ad una città, e ora potrebbe essere una chiamata agli uomini armati.
La situazione è sempre più grave. Gli israeliani sanno solo reagire con i massacri. A Gaza prima hanno bombardato i palazzi residenziali, poi hanno aggiunto le moschee e ora anche le scuole dove si sono rifugiati gli sfollati; si parla già di 123.000 sfollati. In più hanno tagliato l’energia elettrica e ora anche l’acqua e gli alimenti dell’UNRWA, ma a questo a Gaza purtroppo sono abituati.
Il peggio è che hanno cominciato a bombardare con il fosforo bianco, ricordate che fu usato dagli americani a Falluja, in Iraq, e dagli stessi israeliani nei massacri del 2014. Rimane una delle armi più vietate dalle convenzioni internazionali, a cui hanno fatto ricorso nei due casi riferiti quando erano ridotti ad attacchi disperati. Come ora che non sanno cosa fare per interrompere i bombardamenti portati avanti da Hamas, soprattutto su quella che chiamano “envelope” di Gaza, cioè le colonie tutto intorno. Non possono credere che massacrare i gazawi possa essere una soluzione, è solo una soluzione per Netanyahu restare al governo. Avrebbe ben di che dimettersi dopo che tutta la loro intelligence si è così fatta sorprendere.
In West Bank pure non si fermano: oggi tre ragazzi ammazzati ad al-Khalil, tutti imparentati con una ragazza che conosciamo bene. Ieri notte a Qalandia, c’è stata battaglia, con due morti, ma hanno sparato anche a una macchina che passava, uccidendo un palestinese.
A Beita, a Tulkarem, a Jenin, dovunque ci sono stati scontri con morti.
Nei massacri israeliani non si cercano i combattenti, si ammazza indiscriminatamente. Sembra proprio una rappresaglia, come ai tempi dei fascisti.
I palestinesi cercano di rispettare donne e bambini trovati nelle colonie, e farli prigionieri.
Ma Netanyahu non sembra interessato allo scambio di prigionieri che viene proposto: donne e bambini presi da Hamas nelle colonie, in cambio di donne e bambini nelle prigioni di Israele. Speriamo che almeno questo scambio si sblocchi.
Oggi dicono che ogni volta che colpiranno obiettivi civili senza avvisare per evacuare la gente, troveranno un soldato prigioniero eliminato, oggi c’è stato il primo. Ma pare che il governo abbia detto che assalteranno da terra indipendentemente dai prigionieri. Di là li aspettano, dopo che li hanno visti così scappare!
Un po’ da sorridere, nonostante tutta la violenza a cui stiamo assistendo, e sono delle news che troviamo, e che fanno pensare a quanto sono nel pallone:
Alla frontiera con il Libano, ieri mattina, molto prima che cominciassero effettivamente degli scambi di artiglieria, avevano così paura che le pattuglie israeliane hanno cominciato spararsi a vicenda.
Un colono che prendeva una strada sbagliata è stato fatto secco dai soldati che lo hanno preso per un combattente.
Mentre caricavano dei tank sui mezzi per avvicinarli a Gaza, gliene sono caduti due con soldati morti e feriti sotto.
La Bank of Israel dichiara lo stato di emergenza, i benestanti si stanno portando via i soldi, e non sanno come pagare le spese di guerra.
E poi l’Iron Dome, il famoso sistema di difesa antimissile fornito dagli americani funziona poco e male, è stato hackerato! Di questo la resistenza ringrazia, non sono stati loro, ma sicuramente qualche supporter di qualche paese arabo.
E all’aeroporto la polizia fronteggia la gente che vuole scappare, cercano di impedirglielo. La resistenza calcola che potrebbero esserci un milione di coloni in fuga.
Ora noi sentiamo solo le nostre campane in occidente, tutti filoisraeliani da sempre, ma il resto del mondo, e sono la maggioranza, è schierato con i Palestinesi.
Abu Sara
12 ottobre 2023
Che facciamo finché dura questa guerra?
Intanto ci chiamano a Wadi Siq, il gruppo di minuscoli villaggi con la scuola di cui ho scritto il 25 settembre. Ogni tanto chiedono una presenza notturna per contrastare le incursioni dei coloni. E così siamo andati tutti e quattro, con altri sei palestinesi, con due grossi pickup. La sola vista dei mezzi, più un giro ogni tanto con potenti lampade, ha tenuto lontano i coloni, e la notte è stata tranquilla. Ma intanto era arrivata a Ramallah la mia amica giornalista, Francesca, ed eravamo rimasti d’accordo di sentirci oggi. Così siamo riusciti a decidere di scendere a Khalil insieme. La prima cosa che ci dicono è “sì andiamo” ma prezzo maggiorato.
In cambio abbiamo la fortuna di un mezzo con quattro persone, mancavamo noi tre per partire. Un buon segno? Speriamo. Ma ci sono check point e barriere di chiusura. L’autista si sente con altri e sa cosa fare: mangiare polvere! Un paio di volte ha lasciato la strada principale per avventurarsi in mezzo a cave, che avevano anche dei piazzali per incrociare mezzi nella direzione opposta, ma più spesso una pista appena appena per un mezzo. Così anche quando lasciamo la famiglia che è con noi a Beit Ummar, troviamo l’enorme barra gialla chiusa, e dobbiamo tornare indietro verso una stradella sterrata dove ci avventuriamo.

A un nuovo sbarramento, questa volta di terra e sassi vediamo che dall’altra parte sono venuti a prenderli. A Khalil invece si arriva bene, c’è pochissimo traffico, la guerra fa anche questo. Quando arriviamo con il service impolverato, ci accosta un taxi, da dove arrivate? Da Ramallah! Complimenti, siete i primi dopo vari giorni! Il mercato fa un po’ pena, pare che le pattuglie militari girano a esortare alla chiusura. Pochi testardi si rifiutano e stanno aperti. La collina di Tel Rumeida è off limits. Né noi possiamo salire, né da là possono scendere, il coprifuoco è continuo, è ancora tutta zona militare. Il mio telefono, che è stato recuperato, è stato portato in un negozio. Chiediamo dov’è e uno ci dice “vi accompagno, non siamo animali umani come dicono gli israeliani”. E così cominciamo a chiaccherare, come anche il giorno prima a casa di Neta. Pare che l’operazione a Gaza sia stata progettata ed eseguita dalla sola brigata al – Qassam, l’ala militare di Hamas, all’insaputa anche dei loro politici. Questi dopo tappano il buco e sono partecipi, ma erano completamente ignari anche loro. Netanyahu, per accontentare i suoi ministri delle colonie, Ben Gvir e Smotrich, aveva spostato trenta divisioni in West Bank a supporto delle violenze dei coloni, lasciandone solo tre, e magari i pivellini, intorno a Gaza. Ora scoprono ancora i loro soldati morti sotto le macerie delle colonie distrutte da Hamas. Anche questi morti, con il numero crescente, prima duecento, poi quattrocento, poi via via in aumento fino ai 1200 riconosciuti oggi. Perché? Perché un numero detto così fa meno paura che dirlo tutto in un colpo, hanno paura che i loro soldati si rifiutino di andare a combattere a Gaza. Oggi c’è la novità che rimbalza in tutto il mondo: Hamas taglia la testa ai bambini uccisi. Come da noi, dove notoriamente i comunisti mangiano i bambini.
Se conosci un palestinese sei sicuro che sentirai qualche storia di rifugiati. E’ così anche con Anas. Il bisnonno aveva un’azienda di 30 ettari ad Haifa, dove sono? Hanno avuto un negozio nel mercato a Khalil, fino a suo padre, e ora? chiuso dall’occupazione. Metà della famiglia fa ancora parte dei rifugiati di Gaza (il 70% dei gazawy lo sono), e non possono mai incontrarsi. Normale, no? Anas è un nemico sia per gli israeliani che per l’Autorità Palestinese, riceve chiamate di minaccia ogni tanto, dagli uni e dagli altri. Rimaniamo per una protesta a Khalil alle 18.

E li ci ritroviamo, con migliaia di palestinesi, con cui, dopo la preghiera della sera, scendiamo verso il check point di bab al Zahwy. E’ una marea, con anche un grosso gruppo di donne che cammina dietro, con altrettante bandiere. Ci sono quelle verdi di Hamas, ma anche quelle gialle della gioventù di Fatah e quelle palestinesi. Unità unità è il grido che copre tutto, contro l’occupazione e a sostegno
di Gaza. Quando la folla, prima ferma, muove verso bab al Zahwy, arrivano le bombe sonore, poi le pallottole poi i lacrimogeni.
Un paio di feriti e, mentre la folla si disperde, i soliti ragazzi restano al lancio di sassi.
Ora i nostri compagni che erano a Wadi Siq dicono che i coloni sono arrivati stanotte e hanno rubato un sacco di roba. E le terribili bombe al fosforo bianco, le stanno usando anche sul lato del Libano e del Golan.
Quando finirà tutto questo?
Abu Sara
13 ottobre 2023
Oggi è venerdì, il giorno della preghiera. Oggi Gaza chiama il mondo arabo a sostenerli. La prima osservazione è che i minareti disobbediscono all’ordine di qualche giorno fa di uniformare le chiamate alla preghiera: qui si sente benissimo la chiamata a pregare, ma contro l’occupazione e a sostegno di Gaza. La seconda osservazione è che i soldati codardi a metà mattina sono già piazzati sui piani alti di un palazzo in costruzione. Da là possono fare il tiro al bersaglio senza rischiare di ricevere sassate. Codardi, no?
E’ impressionante vedere la gente in movimento. Da noi una manifestazione si raccoglie in almeno due ore. Qui con il fatto dell’orario della preghiera, tutti si muovono insieme e oggi che sono parecchie migliaia, il doppio di due giorni fa, di colpo vediamo tutte le strade riempirsi, anche se ieri sera non avevano nemmeno saputo dirci se ci sarebbe stata una manifestazione! Sono famiglie intere con bambini, sembra una città intera che scende in piazza. Oggi le bandiere verdi superano di molto quelle gialle. Il corteo è grandioso, anche se il sottofondo è religioso, d’altronde sono usciti dalla preghiera “Allah è il più grande e ci farà vincere”. Questo non vuol dire che ci sia integralismo religioso. Chi è ancora fermo a questa idea, è fuori strada. Ho visto nelle prese di posizione di gruppi o movimenti, il volersi distanziare dall’integralismo di Hamas. Hanno cambiato completamente. Infatti l’ala armata collabora con la Jyad, ma anche con il FPLP e Fatah, e sono gente normalissima. Ci dicono che quelli con le bandiere e le bandane verdi sono solo simpatizzanti, i veri militanti stanno possibilmente in incognito, non per nulla una quarantina di esponenti di Hamas sono stati arrestati negli ultimi due giorni dall’Autorità Palestinese, anzi solo a Khalil 29 questa mattina. Quando il corteo si muove è enorme, ma ai soldati dell’occupazione non gliene frega niente. Quando ci avviciniamo, ancora lontani da bab al Zawhy, loro sparano tranquilli le rubber bullet e i proiettili veri, con vari ragazzi colpiti. Ho visto una rabbia immensa. “Ci hanno occupato la terra, ci hanno tagliato la città a metà, e quando gli gira ci sparano”! L’unica risposta dei ragazzi sono enormi fuochi di copertoni per impedire la visibilità ai cecchini. Rimarrà un campo di battaglia anche qui. Ma due dei ragazzi colpiti muoiono in ospedale.
Intanto ieri lunghe discussioni con i contatti ISM di qui. Non mi sarei aspettato ragionamenti così favorevoli a Hamas, il cui impatto sul tessuto sociale è enorme. Nessuno crede alle decapitazioni dei bambini, ma nemmeno al massacro al rave. “Ci avrebbero mostrato le foto, se ci fosse stato un mucchio di cadaveri”. Come non esistono bambini israeliani uccisi. Invece i bombardamenti israeliani sono solo sulla popolazione civile, sui quartieri e sui palazzi. Se sabato scorso ci sono stati purtroppo troppi civili uccisi, è solo perché inaspettatamente non c’è stata resistenza militare, ma quasi solo civili armati. E’ tutta incapacità del governo, che non ne paga le conseguenze ma continua solo le rappresaglie contro i civili. Qui quando vedi qualcuno più triste di altri è perché, come spiegavo l’ultima volta, tantissimi hanno le famiglie spaccate, con metà che sono profughi a Gaza. Così i 17 uccisi nel campo di al Bureij, con la bomba sulla casa della famiglia Abu Madien, erano parenti di nostri amici al mercato.
Niente sarà più uguale, ci dicono, e non sappiamo come sarà.
Intanto, mentre Israele chiede a un milione di persone, con bombardamenti di volantini, di abbandonare le case nel nord e centro della striscia, la resistenza dice “non muovetevi”. Non facciamo come nel 48, una seconda Nakba, vogliono radere al suolo le città, altro che dirci “quando tornerete”, come nel 48, vogliono farci profughi di nuovo! Vogliono fare pressioni sull’Egitto. Peggio ancora, un po’ troppi hanno creduto alla propaganda israeliana, e cosa gli è successo? Viaggiavano su camion e ambulanze, sono stati bombardati questo pomeriggio! L’invito ad andarsene è solo perché non sono riusciti ad indebolire la brigata al Qassam, che continua a sparare Rockets sugli insediamenti intorno a Gaza e dicono che continueranno se gli israeliani non smettono di bombardare Gaza.
Tante città in West Bank con altri undici morti e nel resto del mondo arabo hanno avuto manifestazioni come la nostra, solo i paesi occidentali, Francia e Germania in testa, lecchini degli USA e del sionismo, le vietano.
Abu Sara
14 ottobre 2023
Issa Amro ha paura, vorrebbe una presenza internazionale, ma non siamo in grado di dargliela, ci vietano di avvicinarci a Tel Rumeida. Solo Issa lo hanno fatto uscire, come per l’ora d’aria in prigione, doveva rientrare prima del buio, come i bambini a rischio. Chissà se Francesca, la giornalista, potrebbe salire… Se no rimane da solo circondato da coloni arrabbiati.
Intanto abbiamo un altro compito: finalmente oggi hanno trovato tregua, è un gruppo di 45 lavoratori di Gaza, sono in tre appartamenti di un palazzo di Hebron.
Il terribile 7 ottobre erano nel giorno di meritato riposo, lavoratori del ’48 (le zone occupate nel ’48); sono stati prelevati dalla polizia, tenuti per qualche ora, autorizzati a prendere solo soldi e telefono, ma a qualcuno sono anche stati rubati i soldi, poi caricati su qualche mezzo e scaricati davanti al valico di Eretz, da cui evidentemente non era previsto che passassero per andare a casa. Sono varie migliaia, ma ben 1.500 sono in prigione o ancora non di sa dove. Ora sono finalmente distribuiti in tanti posti e dovrebbero tutti avere avuto la solidarietà della gente, dopo sei
giorni di calvario buttati di qua e di là. Noi abbiamo visto arrivare
viveri e vestiario, dei tre appartamenti uno solo era un po’ arredato, gli altri avevano solo materassi buttati in terra, anche gli appartamenti li ha messi il proprietario, non la municipalità.
Chi sono? Lavoratori delle costruzioni, ma ci sono i laureati, troviamo un ingegnere, un informatico, un insegnante, comunque tutti lavoratori edili. Ogni mese devono rinnovare il permesso, 3.000 nis, che tornano alle compagnie israeliane, e rappresentano la metà della loro paga. Beninteso non hanno assicurazione sanitaria né contratto di lavoro, ma ogni volta che
escono da Gaza devono fare ore di coda a Eretz, come si fa anche a Betlemme; possono venire respinti con il cambio di umore dei controllori, o trattenuti per uno di quegli interrogatori il cui scopo è farli diventare spie.
Che ci raccontano?
Questa non è una guerra, è uno sterminio.
Mio figlio era su un’ambulanza, li ha presi una bomba, l’autista è morto, mio figlio è in ospedale.
Tu almeno sai dov’è, io nemmeno lo so.
Guardate questo video, sembra mostruoso, questi cinque erano con noi, i soldati hanno detto che erano terroristi, il loro principale era lì e non ha detto niente, gli hanno sparato sulla strada, vari sono morti.
La mia casa è stata distrutta dalle bombe, mia moglie e i miei figli sono in una tenda.
Se non abbiamo nessuna speranza di vivere meglio, perché dovremmo disprezzare Hamas?
Ieri sera avevamo provato ad andare all’ospedale dove erano morti i due martiri. Siamo arrivati tardi, ma è interessante che sia i ragazzi (uno mi conosceva) che ci hanno portato, sia il taxi che ci ha riportato, tutti avevano da mostrarci video della violenza israeliana su Gaza, preoccupati che forse gli europei non li vedono.
Altre due note sui lavoratori: possono fare domanda di permesso solo se coniugati, non sia mai che si possa imbastardire la “razza”.
E non si può entrare nel ’48 con una borsa di vestiti, qualsiasi perquisizione non basta, devono comprarsi tutto di là, a caro prezzo.
Arriviamo a Ramallah, nell’ostello dove va Francesca sono stati ospitati un certo numero di lavoratori, proprio con l’aria da lavoratori all’antica, manovali stanchi. L’iniziativa è del gestore dell’ostello, ma siamo a Ramallah, qui l’Autorità Palestinese è più presente. Il nostro amico viene avvisato verso le tre di notte che sta arrivando la polizia. Velocemente vengono portati via tutti, quando arriva la polizia “se ne sono andati”. Un’altra notte in ballo per quei poveracci. Sono a caccia di possibili sostenitori di Hamas, vogliono prendere il controllo su tutti, è la solita collaborazione con gli israeliani. Dov’era l’Autorità Palestinese quando bisognava soccorrere i lavoratori buttati in giro come animali?
Abu Sara
19 ottobre 2023
Oggi la vendetta si è abbattuta anche sulle carceri, hanno rotto costole, gambe, braccia a prigionieri politici, che sono aumentati enormemente dopo il 7 ottobre, si tratta di quasi mille in più contro nessun rilascio. La rappresaglia contro i prigionieri è assolutamente senza giustificazioni. E’ l’agitazione di un sistema che si sente incapace e sconfitto.
Anche il minacciare ripetutamente di distruggere gli ospedali anche se non li evacuano, poi farlo, ma poi arrampicarsi sugli specchi per raccontarlo in un altra versione, è il frutto di un sistema ormai ridotto alla follia.
E il bello o brutto che sia è che ancora a Tel Aviv suonano le sirene, la gente ha paura, la sera non esce nessuno, cadono razzetti ogni tanto, con tutto quello che hanno raso al suolo a Gaza, da là sono ancora in grado di lanciare razzetti. Offrono i prigionieri civili liberi se smettono i bombardamenti sui civili. Ma Israele non ci sente, vogliono tutto. Tireranno la corda fino ad ottenere interventi esterni?
Intanto siamo arrivati nella Jordan Valley, continui racconti di comunità espulse con la forza. Dopo che Ayman ci raccoglie, passiamo da casa sua, un paesino poco distante da Tubas, e poi dovremmo fare la strada più corta per scendere verso altri villaggi. Ci fermiamo con un camionista che sta caricando acqua per la sua comunità. Qui siamo in area B, i palestinesi dovrebbero essere liberi di coltivare, ci sono serre e terreni a ortaggi, ma al passaggio verso la zona C incontriamo il check point. Il camionista con l’acqua ci aveva annunciato che lo tengono fermo due ore quasi ogni volta che passa. Intanto tocca a noi. Documenti di tutti e quattro. Attesa. A un certo punto un soldato torna e mi chiede una carta di identità oltre al passaporto (boh?). Poi finalmente, tre possiamo passare, ma Ayman no. Torniamo indietro a smaltire la rabbia da un pastore che ci fa il caffè. Viene fuori che c’è in giro una foto di Ayman con un fratello sospettato di resistenza. “E va beh, giri dalla collina come faccio con il trattore”. Così facciamo, poi ancora su sterrato fino a sbucare sulla strada di fondo valle. E ad una comunità con grandi coltivazioni, serre. Ritrovo Rashed con cui ero stato 12 anni fa. Mi chiede se tornerò a spiegargli la potatura degli ulivi…. Intanto ecco cosa ha fatto l’occupazione, dopo il 7 ottobre:
Tutti i posti di blocco militari saranno chiusi e ai palestinesi sarà vietato l’ingresso nella Valle del Giordano. Verranno identificati i residenti della Cisgiordania che non risiedono nella Valle del Giordano.
Ai residenti della Valle del Giordano viene impedito di spostarsi. A volte i posti di blocco sono completamente chiusi, impedendo l’ingresso o l’uscita.
Inoltre non c’è benzina o diesel.
È vietata qualsiasi attività di solidarietà. Si è verificata un’attività a Khirbet Atuf, nel nord della Valle del Giordano, che è stata affrontata dalle forze dell’esercito di occupazione con sparatorie, che hanno provocato il martirio del giovane, Muhammad Ahmad Bsharat, e più di 20 feriti.
Anche ai residenti della Valle del Giordano e alle comunità beduine è vietato spostarsi dopo le 17:00
Ci sono più di 10 comunità e villaggi che non possono ottenere acqua a causa delle chiusure e della politica di privazione dell’acqua.
I coloni hanno approfittato anche del sostegno del ministro Ben Kvir e dello stato di emergenza e hanno iniziato a sfollarli. Due famiglie sono state sfollate dalla Valle del Giordano
La famiglia di Tariq Hamid di Khirbet Samra e la famiglia di Nimr Abu Alaya di Khirbet Al Farisiya
E altre famiglie. I coloni inoltre attaccano, intimidiscono e distruggono le proprietà private dei residenti nella Valle del Giordano e confiscano alcune terre.
C’era una collina che era condivisa, ebbene hanno finito con la forza l’espulsione dei palestinesi. Siamo andati a vedere beduini a cui hanno recentemente realizzato un outpost proprio a poche centinaia di metri di distanza e proprio sopra la loro testa. Quanto ci metteranno a mandarli via? A Wady Siq, dove anche io sono stato una notte e altri più notti, le comunità beduine sono state cacciate, dopo le ultime incursioni di coloni armati che hanno mandato anche uno in ospedale per i pestaggi subiti. Ultima ciliegina, ieri sera rientrando al tramonto, vediamo ambulanze poco più avanti della casa di Ayman. Corriamo fino là. Ci sono un po’ di ragazzi che si fronteggiano con i soldati dell’occupazione. Ci sono fuochi, uno sbarramento di soldati pronti a sparare. Non ho capito niente ma tanto per una ragione o per l’altra è sempre così, con tutti i soldati che usano in Cisgiordania solo per nuocere ai palestinesi.
Abu Sara
21 ottobre 2023
Siamo ancora qui, pensavamo di rientrare a Ramallah, tornare in città dopo questi villaggi e lande enormi. Alison voleva raccogliere olive, ma non si era accordata con le ragazze di ieri. Il venerdì anche Ayman è pigro, compare in pigiama che sono passate le undici.
Insomma quando stiamo per chiedergli di accompagnarci a Tubas, ad aspettare un service per Ramallah, esce la giovanissima moglie a cui ho passato il raffreddore, preparatevi che andate con Ayman.
Sta rimanendo senza nafta, quindi qualche problema lo passiamo, la fine della nafta, il traino, la discesa inutile, finalmente l’entrata miracolosa in quanto senza servosterzo in un benzinaio, però dobbiamo andare fino quasi a Gerico, con un suo amico. Così lasciamo l’enorme pickup di Ayman e partiamo con Ahmed.
Ci chiamano anche da Wadi Siq, ci sono in ballo pecore, qualche famiglia che vuole restare, è un giornalista tedesco che chiama; ma per oggi non possiamo fare niente.
Check point con lunga attesa per scendere sulla strada statale di fondo valle. Ma da noi si accontenta dell’ ID dei due palestinesi, un’occhiata e via.
Ahmed ha un pezzo di terra che ricade parte in area A e parte in area C. Ebbene sul lato A ha casa e coltivazione di palme. Sul lato C adiacente, stava piantando banane, aveva scassato il terreno aveva messo l’irrigazione, aveva cominciato a piantare le banane. Niente, l’esercito ha rotto tutto, ha estirpato il poco iniziato, in area C non si può coltivare, neanche se la terra è tua. Ma un poco più in là si vede una bella coltivazione di mango. Là sono i coloni, su terra rubata, semplicemente presa appropriandosene con l’appoggio dell’esercito e così si può coltivare!
E ieri o forse oggi, lo scavo è freschissimo, stanno scavando una trincea, hanno rotto tubi dell’acqua, che ora si perde a riempire la trincea. Sembra che stanno facendo una striscia scavata larga 15 o 20 metri a separazione tra le due aree A e C, come una terra di nessuno, con la chiara intenzione di tenere fuori i palestinesi, e lasciare che man mano i coloni subentrino. C’è rabbia, senso di impotenza, arrivano altri, c’è chi parla di prendere una ruspa e richiudere la trincea, ma c’è paura.
Insomma fino a che uno prova da solo a far valere il suo diritto di piantare, l’esercito lo ferma. Ma se tutti coltivassero, è sempre terra palestinese, sarebbe diverso. Mancano proprietari, forse sono lontani e gli importa poco, allora che ci siano affittuari, purché si coltivi tutto. Coltivare, coltivare, come fa Hafez a Twani, è l’unico modo di affermare la proprietà della terra.
Intanto hanno distrutto la chiesa di San Porfirio, chissà se anche ora si inventeranno il razzetto fallito che abbatte il monumento più antico che esisteva a Gaza. Le menzogne non hanno mai fine. Ho sentito che Hamas voleva attaccare le scuole elementari, per colpire più bambini, e lo avrebbe fatto di sabato, quando le scuole sono chiuse. Menzogne su menzogne e tutto l’Occidente che segue le loro versioni.
20 ore di assalto al campo di Nour Shams, alla periferia di Gerico, quello dove siamo andati a parlare con le famiglie dei martiri. 20 ore di guerra è distruzione, 14 martiri e un soldato ucciso, ma il campo ha resistito!
Abu Sara
24 ottobre 2023
Yatta, quella che sembrava una città tranquilla, ora è stata oggetto di incursioni notturne, alla pari delle città dove la resistenza è più nota, con decine di arresti.
Arrivarci poi è un terno al lotto.
Primo, c’è poca gente che viaggia, così l’autista deve inventarsi il percorso per caricare e scaricare passeggeri, senza poter sperare di fare un viaggio diretto a carico pieno.
Secondo, ci sono sempre i check point chiusi, che bisogna aggirare dalle campagne, in particolare si deve attraversare un piccolo centro con strade strette e ripidissime. Così anche l’arrivo: tutte le strade che portano a Yatta sono chiuse, dobbiamo entrare attraverso un uliveto con stradella sconnessa.
Il lavoro? Da qui tantissimi andavano nel ’48; ora non si entra da nessuna parte, nessuno può andare a lavorare. Almeno qui i lavoratori sono a casa loro, non come i Gazawy, che se sono fortunati sono in qualche casa messa a disposizione da volontari, se sfortunati sono in campi di concentramento, ma non si lavora.
Almeno a casa le pecore, i colombi e le galline mangiano, il pane è in forno…
Ma gli aerei da guerra passano continuamente sulle nostre teste e si vedono benissimo. Ecco se, come dicono gli israeliani, l’ospedale al ahli è stato distrutto da detriti di razzetti facendo i suoi 500 morti, cosa fanno invece questi enormi bombardieri? Le passeggiate?
Questa notte hanno arrestato un bel numero dei 45 lavoratori Gazawy che eravamo andati a trovare!
Prima del 7 ottobre, molti lavoratori di Gaza trovavano opportunità di lavoro in vari settori israeliani, per sostenere le proprie famiglie e colmare le lacune economiche nella Striscia di Gaza, da tempo soggetta al blocco israeliano. Nonostante avessero un permesso di lavoro e fossero separati dai loro cari a causa del blocco in corso, questi lavoratori sono riusciti a inviare sostegno finanziario alle loro famiglie a Gaza prima del 7 ottobre.
Sfortunata svolta degli eventi:
Tuttavia, dopo il 7 ottobre, questi lavoratori di Gaza sono diventati vittime di una svolta tragica e ingiusta degli eventi. I datori di lavoro israeliani, spinti dall’odio e dalla pressione politica, hanno iniziato a licenziarli dai loro posti di lavoro. Questa decisione è stata spesso accompagnata da accuse infondate di terrorismo e dal considerarli una minaccia alla sicurezza semplicemente perché erano palestinesi di Gaza.
Alcuni hanno trovato rifugio grazie alla generosità delle persone della città di Hebron, che hanno fornito loro rifugio mentre aspettavano l’opportunità di tornare a Gaza o riprendere il lavoro.
Violenza e targeting:
Ciò che è ancora più terrificante sono i casi di violenza e molestie che alcuni di questi lavoratori hanno subito. Individui israeliani, motivati da pregiudizi, hanno preso di mira questi lavoratori sfollati, arrivando al punto di ferirli fisicamente e sparargli, esacerbando ulteriormente la loro sofferenza.
Detenzione illegale:
Il capitolo più oscuro di questa dura prova si è verificato quando, la notte del 22 ottobre, le forze di occupazione israeliane hanno detenuto illegalmente un certo numero di questi lavoratori e li hanno incarcerati. Sono stati trasferiti in località segrete, lasciando le loro famiglie a Gaza nella paura per la loro sicurezza.
Abu Sara
26 ottobre 2023
Fa parte della repressione di questo stato impazzito. Uno ieri e uno l’altro ieri, sono “deceduti per un malore” durante l’interrogatorio. A me pare che si chiama tortura.
Ieri coloni e soldati hanno sparato a Khalet ad dabaa, c’è qualche ferito.
Sono passato da Khalil, il mercato era deserto in modo deprimente.
E che dire dei massacri?
Che senso hanno?
A me pare che gli israeliani sono tornati al medioevo, quando gli assedi si facevano come lo stanno facendo loro, tagliando acqua e viveri per indebolire la resistenza degli assediati. Credevo che il mondo fosse evoluto un po’, invece tutto l’Occidente li lascia fare, i palestinesi (o anche i bambini sono Hamas?) non sono esseri umani. Quindi si può procedere come facevano i nazisti: la decimazione, non saranno sazi finché non vedranno morti 10 palestinesi per ogni israeliano morto. Solo che i loro sono morti per errori del governo, dell’intelligence, del beato senso di superiorità….. Ora si muore a caso sotto le bombe, soprattutto donne e bambini, feriti e malati senza più cure possibili. E tutte queste bombe non piegano la resistenza: continuano a sparare razzi contro le colonie vicine e lontane, continuano a suonare le sirene su Tel Aviv.
Come ieri che hanno “dovuto” riprendersi due prigioniere, non le volevano nemmeno, sapevano che danno d’immagine gli avrebbe fatto. Possono solo raccontare la verità, che è ben diversa dai racconti dei media. La prima che ha raccontato dei morti sotto il fuoco incrociato, è stata silenziata o cancellata, quelle di ieri hanno raccontato in diretta dall’ospedale dove le hanno portate. Descrivono di condizioni ben diverse dai prigionieri nelle carceri israeliane, dove si muore per malore durante un interrogatorio. I palestinesi dicono che con tutti quei prigionieri Hamas ha vinto comunque.
Mentre a Khalil il mercato era deprimente, ora sono a Nablus, qui invece la città è molto più piena di vita che a maggio, quando ero qui.
Abu Sara





